Nel mondo sono stati registrati pochissimi casi in età pediatrica e nessun decesso: fenomeno a cui la comunità scientifica non ha ancora trovato una risposta certa. Secondo il Chinese Journal of Epidemiology, il tasso di letalità sale con l'aumentare dell'età: 0,2% sotto i vent'anni, percentuale stabile fino ai 39 anni
Mentre si moltiplicano i casi di coronavirus in Italia e nel mondo, i virologi studiano un fenomeno pediatrico: i bambini sembrano essere più resistenti alla malattia. Pochissimi casi registrati e nessun decesso. Lo conferma anche la Società Italiana di Infettivologia Pediatrica: “L’infezione in età pediatrica, che sembra essere più rara, o più lieve”. La comunità scientifica non ha ancora trovato una risposta certa, dice Alberto Villani, presidente della Società Italiana Pediatria. “Non è chiaro il meccanismo: quel che è certo è che ci sono pochi casi e nessuna fatalità“. Secondo i dati pubblicati nel Chinese Journal of Epidemiology – aggiornati all’11 febbraio – in Cina, il Paese più colpito dall’epidemia, non c’è stato nessuno decesso da coronavirus sotto i dieci anni e il virus avrebbe solo lo 0,2% di letalità tra i 10 e i 19 anni. Il numero di decessi, quindi, sale con l’aumentare dell’età: la percentuale rimane la stessa (0,2%) nelle fasce d’età 19-29 anni e 30-39 anni. Raddoppia tra i 40 e i 49 anni (0,4%) e triplica in quella successiva: 1,3% tra i 50 e i 59 anni. 3,6% di decessi nelle persone che hanno tra i 60 e i 69 e l’8% tra i 70 e i 79 anni. La fetta più consistente di decessi (14,8%) è tra chi ha più di 80 anni.
“Esistono molti virus che sono aggressivi solo in alcune fasce d’età – spiega Villani – pensiamo alla varicella, che colpisce prevalentemente i bambini, vai a spiegare perché. Non è un fenomeno insolito”. Incidono poi le cosiddette “comorbidità”, cioé le patologie associate: il 10% dei deceduti aveva già patologie cardiovascolari, il 7% il diabete e il 6% malattie respiratorie croniche. Ci sono diverse ipotesi sulla ragione per cui i bambini sembrino essere più resistenti alla malattia: o perché sono stati meno esposti al virus per le modalità di diffusione iniziale dell’epidemia – per esempio il mercato di Wuhan o gli ospedali – oppure c’è qualcosa di diverso nel modo in cui il loro organismo risponde al virus. In ogni caso, secondo il dottor Villani, bisogna tranquillizzare i genitori: negli ultimi giorni infatti sono stati segnalati diversi di casi di bambini ritirati da scuola per timore del contagio. “Non ha senso prendere iniziative personali – dice – nel caso in cui ce ne sia davvero bisogno sono le autorità a decidere di sospendere le lezioni, come sta succedendo adesso in diverse Regioni. Bisogna fidarsi delle direttive sanitarie e ascoltare solo fonti accreditate”. Per tutti, adulti e bambini, la regola in caso di sospetto è di non andare dal medico o al pronto soccorso, esponendo gli altri a rischi inutili. I medici sconsigliano di portare i bambini dal pediatra: facendoli uscire, soprattutto se già ammalati, si aumentano le possibilità di contagio: piuttosto, in caso di dubbio, telefonare ai numeri dedicati e seguire le indicazioni.
I casi tra i bambini sono stati pochi, anche per la Sars, che appartiene alla stessa famiglia del coronavirus: solo 80 casi confermati in laboratorio e 55 casi probabili o sospetti. In un rapporto del 2007, gli esperti statunitensi dei Centers for Disease Control riportavano che i bambini sotto i 12 anni presentavano sintomi di Sars più lievi rispetto agli adulti. Nessun bambino o adolescente è morto a causa di questo coronavirus e in un solo caso un bambino ha trasmesso l’infezione a un’altra persona. Allo stesso modo, durante l’epidemia di Mers nel 2016, il World Journal of Clinical Paediatrics ha riportato come il virus fosse raro nei bambini, anche se la “ragione della bassa prevalenza non era nota“. Una caratteristica osservata anche in questa nuova epidemia: uno studio del New England Journal of Medicine su 425 soggetti infettati dal coronavirus non riportava nessun caso sotto i 15 anni di età. Gli autori sostenevano che “i bambini potrebbero avere avuto meno probabilità di contrarre l’infezione o, se infetti, potevano mostrare sintomi più lievi” rispetto agli adulti. Un articolo apparso sulla rivista scientifica Lancet riportava il caso di un bambino di 10 anni infettato dai familiari affetti dal nCoV e, pur presentando un’infezione polmonare evidente nelle radiografie, restava asintomatico, senza febbre, né altre anomalie nell’esame del sangue. Un rebus anche per l’Oms: “Vediamo relativamente pochi casi tra i bambini – ha detto da Ginevra il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus – Sono necessari ulteriori ricerche per capire perché“.