Chi ama la boxe non dimentica. 28 novembre 2015: al termine di uno dei match più incredibili di sempre, Tyson Fury – neo campione del mondo dei pesi massimi dopo aver sconfitto Volodymyr Klycko – prende il microfono e canta in stile karaoke per festeggiare una vittoria per molti impronosticabile. Tutti i rigidi protocolli del pugilato vanno a farsi benedire. 23 febbraio 2020, la storia si ripete: il pugile inglese ha battuto alla settima ripresa Deontay Wilder e gli ha strappato la corona dei massimi Wbc che deteneva dl 2015. Fury ringrazia Dio, ringrazia tutti, poi annuncia una “breve esibizione canora“: canta, balla, scherza, ride, con quella faccia più da abituale frequentatore di pub che da campione del mondo di pugilato.
L’arena Mgm di Las Vegas è ai suoi piedi, il mondo della boxe anche. Perché ha ritrovato un protagonista che si credeva ormai perso. Da quel 28 novembre 2015 ne sono successe di cose: l’alcool, la cocaina, la depressione, la squalifica, l’addio al ring da campione del mondo in carica. Il ritorno dopo 3 anni di risalita dagli inferi, il primo combattimento contro Wilder terminato in pareggio, un paio di altri match non indimenticabili contro avversari normali. Insomma, nulla di paragonabile al Fury che cinque anni fa riuscì a sconfiggere a Dusseldorf un Klycko che non perdeva da 10 anni entrando nell’olimpo del pugilato.
E invece a Las Vegas è successo l’imponderabile. Per aver contezza dell’impresa di Tyson Fury bisogna partire da un numero: Deontay Wilder nella sua carriera prima di oggi vantava un record di 42 vittorie (e un pareggio), 40 arrivate prima del limite (record nella storia dei massimi), 20 al primo round, tutte le altre tranne 6 prima dell’ottava ripresa. Tradotto: un martello, a cui basta lasciare un piccolo varco per finire al tappeto, perché quello di The Bronze Bomber era e resta con assoluta certezza il destro più micidiale nella boxe di oggi. Non che i numeri di Fury siano malvagi: 29 vittorie su 30 incontri disputati (un pareggio), 20 vittorie prima del limite e una cifra pugilistica che gli hanno fatto conquistare la stima di chi ama il pugilato fatto di intelligenza e tattica, di furbizia e stile. Ovvero ciò che è stato Tyson Fury oggi.
Alla vigilia lo aveva detto: “Voglio vincere prima del limite per ko”. In pochi gli avevano creduto, sembrava il classico bluff di Gipsy King nella patria del gioco d’azzardo. E invece Fury era sincero e faceva sul serio proprio perché aveva preparato l’incontro così, tutto all’attacco contro il re degli attaccanti. E ha avuto ragione. Sin dalle prime battute della prima ripresa il pugile inglese ha spiazzato lo statunitense, con colpi rapidi e quella tecnica di spalle e finte che toglie ogni punto di riferimento. Alla terza ripresa il primo colpo di scena: combinazione sinistro-destro di Fury e Wilder a tappeto. Non era mai successo nella carriera del picchiatore dell’Alabama. Che è smarrito, di testa e di gambe. Non sa reagire, guarda nel vuoto. E incassa, tanto, troppo, inerme. Fino alla quinta ripresa: diretto di Fury, Wilder ancora a terra. Si rialza a stento, sembra la fine. Ma il campione dimostra coraggio e orgoglio. Resiste per un’altra, drammatica ripresa ai colpi di Fury. Alla settima ancora colpi in serie di Gipsy King, le gambe non reggono Wilder, l’orecchio sinistro sanguina copiosamente, l’allenatore getta la spugna.
L’era di The Bronze Bomber è finita (per ora), Tyson Fury è di nuovo sul tetto del mondo. “Il re è tornato a prendersi il trono” dice. E fa festa, come la può fare solo uno che ha visto la fine, ha sperato di morire e poi è riemerso dall’abisso. E ora canta, a squarciagola, sul ring di Las Vegas. E chissà se l’eco di quelle note non sarà arrivato alle orecchie del suo connazionale Anthony Joshua, campione del mondo Ibf, Wba, Wbo e Ibo. Perché il sogno di tutti, ora, è soltanto uno: la riunificazione delle cinture, in una sfida tutta britannica che già solo a nominarla vacilla la storia della boxe. Si combatterebbe in Inghilterra e sarebbe un match aperto, perché con un Fury così nulla è scontato. Se fosse per i promoters ci sarebbe già la dat. Ma l’adone Anthony Joshua avrà il coraggio di raccogliere la sfida dello zingaro un po’ matto ritornato dall’inferno?