La macchina dei test per individuare il coronavirus, o meglio questo tipo di coronavirus detto Covid-19, al momento regge. Nonostante la mancanza di tamponi che, assicurano i vertici della Regione Lombardia e del ministero della Salute, è in via di risoluzione. Ma è possibile che il sistema vada in emergenza se i casi di sospetto contagio dovessero impennarsi? “No, a patto che le autorità e le aziende che producono i kit seguano un percorso razionale. Se domani si scoprissero decine di migliaia di casi sospetti in un focolaio, dobbiamo essere preparati a fronteggiarli”. Carlo Federico Perno è professore ordinario di Microbiologia e virologia dell’Università di Milano e dirige il Dipartimento di medicina di laboratorio dell‘Ospedale Niguarda, impegnato in questi giorni a sfornare responsi sui nuovi casi di contagio. Perno è specializzato proprio nello studio dei Coronavirus, una grande famiglia che, nella versione umana, è responsabile per esempio del comune raffreddore. “Il Covid-19, invece, è di origine animale, coma la Sars e la Mers, e ha fatto il salto di specie. La sua peculiarità – spiega il professore – è che colpisce direttamente i polmoni“. Così è stato necessario approntare un nuovo kit diagnostico che andasse a scovare questa specifica forma del virus: “Le aziende del settore hanno lavorato giorno e notte e oggi abbiamo un test molto affidabile, che continua a essere migliorato”.
Il primo passo, come ormai abbiamo imparato tutti, è il tampone, una sorta di grande cotton fioc che raccoglie il muco nasale e i liquidi polmonari del paziente. Il campione messo in provetta va poi fatto arrivare rapidamente in uno dei centri specializzati, dotati di una macchina per questo tipo di analisi, la stessa che si usa da molti anni per individuare altre patologie, a partire dalla comune influenza. Si chiama “termociclatore” e, in sostanza, riscalda e amplifica il materiale genetico del virus che si sta cercando, attraverso un processo che si chiama reazione a catena delle polimerasi. Materia per addetti ai lavori, ma la buona notizia, dice Perno, è che il termociclatore è un oggetto grande come un forno a microonde, del costo di qualche migliaia di euro secondo il modello, utilizzato in un gran numero di laboratori. “Pensatelo come un lettore cd. L’apparecchio è sempre quello, poi suonerà Battisti o Jovanotti secondo il disco che ci metto dentro. Il disco, nel nostro caso, è il kit specifico per la ricerca del Covid-19”. Ogni singolo kit permette di analizzare diverse decine di campioni.
La macchina può trattare diverse decine di provette contemporaneamente e restituisce i risultati nel giro di qualche ora. “Se il risultato è positivo significa che il paziente è contagiato, anche se non necessariamente malato. I test sono affidabili e di norma si eseguono una volta sola, con un ulteriore controllo sulla correttezza dei parametri impostati nella macchina”. Così funziona il sistema che permette di identificare i casi di contagio da isolare per limitare l’epidemia, e al momento non si vedono colli di bottiglia che lo rallentino in modo significativo. Ma attenzione: se si verificassero aumenti imprevisti di casi sospetti, la soluzione non sarebbe quella di mettere in campo tutti i termociclatori presenti in qualunque laboratorio: “Sarebbe sconsigliabile rivolgersi ai piccoli ospedali o ai centri privati, perché questo tipo di analisi richiede competenze professionali specifiche e livelli elevati di biosicurezza”.
Per questo è necessario attrezzarsi in vista di un’eventuale esplosione di casi e limitare al massimo i rischi di contagio. “Di fronte al Covid-19 sento giudizi inesatti anche dal mondo scientifico”, afferma il professor Perno. “Da un lato c’è chi lo paragona a una banale influenza, ma non lo è affatto, è un’infezione polmonare. Dall’altro c’è chi evoca epidemie catastrofiche come la ‘spagnola’, ma finora sono decedute persone con altre patologie gravi, alcune molto anziane, per i quali non mi sentirei di dire che la causa di morte è davvero il coronavirus. Non abbiamo ancora elementi precisi per prevedere l’andamento dell’epidemia, dobbiamo osservarne l’evoluzione giorno per giorno”.
Non esageriamo con l’allarmismo, conclude Perno, ma ben vengano le restrizioni imposte da governo e regioni: “Sono provvedimenti sgradevoli ma necessari, la priorità è impedire al virus di infettare. Dobbiamo chiudere le stalle prima che i buoi scappino”.