Le ultime notizie sul fronte del coronavirus sono cattive: si è stabilito proprio nel nostro paese un focolaio di epidemia autoctono, del quale al momento non abbiamo identificato con certezza neppure il paziente zero.
Sul coronavirus sappiamo meno di quanto vorremmo sapere, e non possediamo né terapie né un vaccino. Ciononostante non siamo né completamente ignoranti né disarmati: sappiamo infatti abbastanza sulla statistica delle epidemie e sulle precauzioni di igiene pubblica e individuale utili a contenerle, almeno parzialmente. Le fasi iniziali di una epidemia sono sempre apparentemente esplosive, con una progressione esponenziale di nuovi casi; poi l’epidemia si stabilizza e dopo un certo tempo comincia a spegnersi. In Italia apparentemente siamo nella fase iniziale, ma a Wuhan l’epidemia è in fase calante e noi abbiamo un buon quadro della sua dinamica.
Ogni epidemia ha la sua tempistica, scandita dal suo tempo di generazione seriale (Tgs): il tempo che intercorre, in media, tra il momento in cui un individuo viene contagiato e il momento in cui ne contagia a sua volta un altro. Per il coronavirus questo tempo è di circa una decina di giorni, forse anche più lungo. E’ un tempo intermedio tra quelli di altre malattie virali: il Tgs dell’influenza è di circa 3 giorni, quello del morbillo circa due settimane.
I dati facilmente disponibili sul coronavirus in Cina cominciano dal 23 gennaio, giorno in cui furono diagnosticati 265 nuovi casi. I casi giornalieri sono cresciuti quasi esponenzialmente fino al 4 febbraio, giorno in cui furono diagnosticati poco più di 3.900 nuovi casi; da allora sono in calo (a parte un picco dovuto al cambiamento dei criteri diagnostici adottati dalle autorità) e il valore attuale è di circa 750 nuovi casi al giorno. Il periodo di osservazione copre quindi soltanto 3 Tgs (la epidemie di influenza stagionale vengono seguite per circa 30 settimane, oltre 60 Tgs).
Coerentemente, anche il numero di malati ha toccato il massimo il 17 febbraio (oltre 58.700) e da allora sta lentamente calando (attualmente sono segnalati circa 52.000 casi attivi). Il ritardo tra il picco di nuovi casi giornalieri e quello di casi attivi è una grossolana stima della durata media della malattia. Certamente vi sono casi lievi, non diagnosticati, che possono aumentare i valori di nuovi casi giornalieri e di casi attivi, ma questi non alterano il profilo temporale dell’epidemia.
Anche su scala mondiale l’epidemia fino all’esplosione del caso italiano sembrava sotto controllo o quasi, eccetto che in Estremo Oriente: in 11 dei 33 paesi nei quali erano stati segnalati casi (in gran parte di importazione dalla Cina) i malati erano guariti (o in qualche caso deceduti) e il paese si era liberato del virus.
Come finisce una epidemia? Perché l’epidemia da coronavirus in Cina si sta esaurendo così in fretta? Alcune epidemie, come quelle di morbillo, finiscono quando quasi tutta la popolazione è stata contagiata e resa immune, e la popolazione suscettibile è diventata così rara da non poter sostenere ulteriormente il contagio; e infatti in epoca precedente al vaccino il 90% della popolazione presentava anticorpi contro il morbillo, segno di una infezione precedente, dall’età di 15 anni.
In genere però una epidemia si spegne molto prima di aver esaurito la popolazione suscettibile, per varie ragioni: una frazione della popolazione può presentare una suscettibilità ridotta (ad esempio alcune varianti genetiche del recettore CCR5 prevengono l’infezione da Hiv); oppure il contagio dipende da condizioni climatiche (in questo caso spesso l’epidemia assume un andamento stagionale); oppure ancora il contagio colpisce soprattutto o soltanto categorie a rischio.
Non sappiamo l’esatta ragione per la quale in Cina l’epidemia di coronavirus abbia cominciato a spegnersi così presto, ma il dato è anequivoco, e del resto la Sars si era esaurita ancora più rapidamente. Le misure di contenimento hanno in certa misura contribuito a frenare l’epidemia, ma la principale ragione del calo deve risiedere nel virus stesso, perché noi sappiamo che il contenimento da solo ha efficacia modesta, e anche nell’epidemia attuale non ha potuto impedire la diffusione del virus all’esterno dell’area isolata.
Indubbiamente il focolaio italiano dimostra, per la prima volta, che il virus è capace di adattarsi a una popolazione e a una nicchia climatica diverse da quelle dell’Estremo Oriente, e che quindi una pandemia è possibile. Ciononostante, i dati cinesi suggeriscono che l’epidemia si esaurisce in fretta, almeno se vengono messe in atto misure di contenimento.
Oggi è quindi importante evitare il panico e partecipare attivamente alle misure che saranno dettate dalle autorità sanitarie. Una delle conseguenze più temibili del panico è lo stabilirsi di un clima persecutorio e razzista nei confronti della minoranza cinese residente in Italia. Episodi di razzismo violento si sono già verificati e ricordano le cacce all’untore di manzoniana memoria. E’ fondamentale oggi che la politica e la magistratura facciano sentire la loro voce contro questi episodi: la malattia non può diventare una colpa.