Nonostante il milione di turisti e le decine di migliaia di lavoratori e studenti cinesi, finora Mosca ha reso noti solo due casi di contagio. "Le misure possono essere giuste, ma un’epidemia può verificarsi lo stesso” spiega Vasilij Vlasov, professore della Higher School of Economics di Mosca. Ma ricorda anche "l'evacuazione violenta" dei cittadini da Wuhan e le condizioni dell'isolamento forzato, che spingono molte persone a fuggire
In Russia, che nel 2019 ha ospitato più di un milione di turisti e decine di migliaia di lavoratori e studenti cinesi e dove intere regioni vivono in simbiosi con la Cina, finora sono noti solo due casi di contagio da coronavirus. Si tratta di cittadini cinesi, entrambi guariti. “In Russia sono stati importati pochi casi, il loro isolamento si è verificato efficace e per questo non si è avuta la diffusione del virus. Ma non possiamo dire che ciò non avverrà in futuro”, dice al fattoquotidiano.it Vasilij Vlasov, professore della Higher School of Economics di Mosca e membro dell’International Epidemiological Association. “Le misure possono essere giuste, ma un’epidemia può verificarsi lo stesso”, aggiunge l’esperto. Uno dei fattori di contenimento del contagio è il fatto che l’interscambio di passeggeri non è così intenso, come per esempio in Italia. “Rimane un Paese relativamente isolato con un regime di visti meno amichevole”. E oggi la task force nazionale per la prevenzione della malattia ha consigliato ai cittadini russi e agli operatori turistici “di evitare di viaggiare nella Repubblica italiana sia con gruppi organizzati sia in modo indipendente”.
Parallelamente al diffondersi del coronavirus, la Russia ha iniziato a innalzare le barriere adottando la ‘linea dura’. Dal 31 gennaio, il neonominato premier ha decretato la chiusura di frontiere con la Cina nelle cinque regioni confinanti. Attualmente, gli ingressi sono stati riaperti per il rientro dei cittadini russi attraverso corridoi umanitari, con la successiva quarantena di 14 giorni. Il 2 febbraio è arrivata la stretta sui visti per i cittadini cinesi, niente viaggi turistici senza visto e un fermo sulle pratiche per visti per motivi di lavoro. Dal 3 febbraio è stato chiuso il collegamento via treno con la Cina, mentre dal 1 di febbraio è stato limitato il collegamento aereo. Gli unici voli che arrivano sono i voli di linea delle quattro compagnie cinesi autorizzate e sbarcano tutti in un terminale speciale dell’aeroporto Sheremetjevo di Mosca. Lì viene effettuato un tampone per coronavirus sui passeggeri ed è stato disposto, per tutti quanti, un isolamento obbligatorio di due settimane presso la propria abitazione.
Il 20 febbraio, il primo ministro russo Mikhail Mishustin ha disposto il divieto di ingresso per i cittadini cinesi, ma già dalla fine di gennaio le autorità russe avevano preso una serie di misure restrittive per prevenire la diffusione del Covid-19 sul territorio nazionale, a cominciare dall’Università. “Il semestre doveva iniziare il 10 febbraio, ma all’inizio del mese ci hanno radunati e hanno comunicato la disposizione del rettore: rinviare le lezioni per tutti gli studenti stranieri fino al 2 marzo”, ci racconta Ludmila Boris, docente della facoltà ‘Scuola superiore di traduzione e interpretariato’ dell’Università Statale di Mosca. “Gli studenti che sono comunque rientrati dalla Cina, sono rimasti in casa per due settimane e hanno mandato quotidianamente le foto del termometro ai loro coordinatori: non li fanno entrare neppure in biblioteca. L’insegnamento prosegue telematicamente“, spiega Boris.
Il paladino della lotta contro la polmonite Covid-19 in Russia è Rospotrebnadzor, il servizio federale per la difesa dei diritti dei consumatori, famoso per i suoi divieti politicizzati su alcuni prodotti, quale il vino georgiano in occasione del conflitto del 2008. Il servizio però è incaricato anche di contrastare la diffusione delle epidemie e il centro scientifico “Vector” che ne fa parte ha elaborato due sistemi di test per il coronavirus e ora sta lavorando sul vaccino contro il Covid-19. Il sindaco di Mosca Sergej Sobjanin il 21 febbraio ha annunciato sul proprio blog le misure per la lotta al coronavirus: dalle ispezioni “per stanare e mettere in isolamento” i cinesi arrivati prima del 20 febbraio fino all’uso del riconoscimento facciale per individuare i contatti dei fuggiaschi dalla quarantena.
Nella guerra contro il virus, le autorità russe spesso però non vanno per il sottile. Così Vlasov ha ricordato “l’evacuazione brusca, addirittura violenta” dei 144 cittadini russi da Wuhan che sono stati riportati in Russia il 5 febbraio con due aerei militari “come dei sacchi di patate”, secondo uno dei passeggeri. Gli evacuati erano stipati sulle panche per le 12 ore del viaggio, al freddo, con un secchio al posto del wc. Se il caso di Alla Iljina, donna originaria di San Pietroburgo, fuggita dall’ospedale dove era stata messa in quarantena dopo il ritorno dalla Cina, ha avuto molta attenzione mediatica, probabilmente ci sono tanti altri casi di persone che lamentano le modalità e le condizioni dell’isolamento forzato. Così su Facebook una ragazza che si chiama Alexandra Monakhova ha lanciato un grido di aiuto dopo essere stata messa in quarantena in un ospedale di Mosca. Ha raccontato, tra l’altro, dei pazienti cinesi trattati alla stregua di “animaletti” e di dover condividere la sua camera con due cinesi appena arrivati dalla Cina, contro ogni standard di sicurezza.