“Ho avuto paura di impazzire, ma un ragazzo mi ha salvato aiutandomi ad entrare in terapia”. Michele Bravi rompe il silenzio e in un’intervista a Vanity Fair racconta i momenti difficili passati dopo quell’incidente del 22 novembre 2018 che gli ha cambiato la vita. Nello scontro perse la vita una motociclista di 58 anni e lui è stato accusato di omicidio stradale a causa di una sua manovra ritenuta scorretta. Oggi, a oltre un anno da quell’episodio, il cantante sta provando a rialzarsi ma da quel giorno per lui è iniziato un percorso di dolore.
“Tante cose non le ricordo nemmeno, ma ci sono stati tanti miei atteggiamenti, tanti modi di comportarmi che non riuscivo a tradurre. Ho cercato di rimanere a contatto con il reale, ma è stato impossibile. Un crollo totale. Avevo allucinazioni visive e sonore. È difficile da far capire. Avevo perso completamente il confine tra quello che era reale e quello che non lo era. Non riuscivo neanche più a capire se chi mi stava vicino era vero o no. Più vero di altre cose che vedevo o sentivo. Ho avuto paura di impazzire”.
A aiutarlo in quei momenti difficili è stato un ragazzo che l’ha convinto ad entrare in terapia: “Quando sono tornato a casa, dai miei genitori, c’era solo una persona con me. Mi stavano accanto tutti, ma non sapevano come interagire con quel male che si stava manifestando in maniera così diretta. Avevo difficoltà a recepire i messaggi. Ci riusciva solo questa persona che mi ha costretto ad andare in terapia. È un ragazzo, che è stato lì con me e mi ha fatto capire la responsabilità di un dolore del genere […]. Se ho trovato un orientamento nel buio è solo merito suo. Mi ha indicato la terapia, mi ha accompagnato, ha fatto in modo che potessi proseguire da solo”.
Bravi tiene però a smentire che con quel ragazzo ci sia stato qualcosa di più: “Non c’è alcun coming out. È la cosa più naturale per me, ora, dirlo. Se n’è andato a febbraio. Non è stata una scelta. Non poteva restare in Italia. Non tornerà più. Ma forse è giusto così, non posso tenerlo legato. È il mio modo di ridargli il bene ricevuto”.
Ora l’artista sta meglio anche per merito del percorso terapeutico intrapreso: la terapia Emdr (“Eye Movement Desensitization and Reprocessing”), metodo psicoterapeutico per il trattamento dello stress post traumatico: “Se ho avuto paura di rimanere incastrato nel buio? Completamente. L’unica cosa che ho detto quando sono entrato dalla dottoressa la prima volta è stato: salvami”.
Lo scorso 23 gennaio, Michele Bravi ha chiesto chiesto di patteggiare un anno e mezzo nel procedimento in corso: “Mettersi a fare un processo pubblico nei confronti di qualcuno che non c’è più e far subire quel dolore a chi quella persona l’ha persa è una cosa che non farò mai. Ogni volta che si rievoca quel giorno per me è come mettere su un piatto comune qualcosa di molto privato. Prendersi la colpa è la scelta di questa consapevolezza. Mi interessava poter chiudere, almeno legalmente. Per interrompere questo ciclo di dolore”. Ora attende la prossima udienza, fissata per l’11 marzo, e spiega: “Non ho interesse a lottare per anni rispetto ai tempi della giustizia. Sono tutelativi, ma ogni rinvio è un pugno sullo stomaco. Per me e per l’altra famiglia. In quell’incidente abbiamo già perso tanto”
Il 20 marzo intanto pubblicherà il suo nuovo album intitolato La geografia del buio: ″È il mio modo di indicare quello che mi è stato suggerito. Sento al responsabilità di far passare il messaggio che mi ha salvato”.