di Maria Elena Iafolla*
Per poter installare un impianto di videosorveglianza presso il luogo di lavoro, è necessario che il datore di lavoro segua la procedura indicata all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) e non può essere ritenuto sufficiente che i lavoratori esprimano, anche per iscritto, il loro consenso.
Il principio è, ormai da qualche anno, costantemente affermato dalla giurisprudenza, anche di Cassazione, la quale lo ha recentemente ribadito con la sentenza n. 1733/2020.
L’art. 4, come già modificato dal D.Lgs. n. 150/2015, art. 23, consente infatti al datore di lavoro l’utilizzo di impianti audiovisivi o altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, soltanto per specifiche ragioni legate ad esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro o tutela del patrimonio aziendale. Pur in presenza di tali specifiche ragioni, tuttavia, occorre che l’installazione sia preceduta da un accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, dall’autorizzazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro competente per territorio.
Un primo orientamento interpretativo, partendo dal dettato normativo, giungeva in realtà a conclusione opposta: se la tutela contro subdole forme di controllo da parte del datore di lavoro è garantita, ex art. 4 della Legge 300/1970, da un consenso che promani dalla rappresentanza sindacale, a fortiori deve essere ritenuto valido il consenso prestato direttamente dalla totalità dei lavoratori (Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 22611/2012).
La più recente posizione della giurisprudenza sottolinea, al contrario, come la scelta di una tale procedura sia prevista in “considerazione dei lavoratori come soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato”: l’indiscutibile maggior forza economico-sociale dell’imprenditore rispetto a quella del lavoratore, e dunque la disuguaglianza di fatto tra le due posizioni, non permette in alcun modo di ritenere che quel consenso eventualmente espresso dai singoli lavoratori possa essere libero e, dunque, valido.
La norma deve perciò intendersi posta per tutelare un interesse collettivo e, in quanto tale, non nella disponibilità del lavoratore. Ciò significa che egli non può validamente disporne (sul punto, anche Cass. n. 22148/2017, oltre alla già citata Cass. n. 38882/2018).
Tale più recente orientamento può dirsi ormai senz’altro costante ed è stato da ultimo riaffermato dalla Corte di Cassazione, che in una recentissima pronuncia ha esemplificato come, se si volesse considerare valido e sufficiente il consenso dei singoli lavori, anche intesi nella loro totalità “basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perché ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione” (Cass. Sez. III Pen., 6 novembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1733).
L’installazione dell’apparecchiatura in mancanza di accordo sindacale o provvedimento autorizzativo dell’Ispettorato è, dunque, illegittima e penalmente sanzionata.
Le sanzioni
La violazione della procedura indicata all’art. 4 dello Statuto è punita ai sensi dell’art. 38 della stessa Legge e dunque, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con un’ammenda o con l’arresto da 15 giorni ad un anno. Quando, per le condizioni economiche del datore di lavoro, si può presumere che l’ammenda risulti inefficace anche se applicata nella misura massima, il Giudice ha la facoltà di aumentarla fino al quintuplo e, nei casi più gravi, le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente, con pubblicazione della sentenza penale di condanna.
L’Ispettorato del Lavoro, tuttavia, quando rilevi violazioni di carattere penale per le quali sia prevista la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, concede al datore di lavoro un termine entro il quale regolarizzare la posizione, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata. La prescrizione è espressamente prevista dall’art. 15 del D.Lgs. 124/2004, nonché dal D.Lgs. 758/1994, Capo II, che costituiscono l’impianto fondamentale della disciplina in materia di ispezioni e sanzioni nei settori del lavoro e della previdenza.
Giova infine riportare l’orientamento, da ritenersi tuttora valido in quanto mai successivamente smentito, secondo il quale l’installazione di un impianto di videosorveglianza senza il preventivo accordo con le rappresentanze sindacali costituirebbe comportamento antisindacale del datore di lavoro, reprimibile con la speciale tutela di cui all’art. 28 dello Statuto del Lavoratori (sul punto, Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 16/09/1997 n. 9211).
* Avvocato, esperta di nuove tecnologie, privacy e cyber-security, anche in relazione alle tematiche giuslavoristiche, perfezionata in Criminalità informatica e investigazioni digitali presso l’Università degli Studi di Milano. Formatrice e autrice in materia di Diritto dell’informatica, Privacy e GDPR.