La Gran Bretagna continua con la strategia del pugno duro riguardo ai negoziati post-Brexit. Il ministro Michael Gove, parlando alla Camera dei Comuni, ha dichiarato che Londra è pronta ad abbandonare il negoziato sulle relazione future con l’Ue anche a giugno se entro allora non emergeranno prospettive di un accordo condiviso. Il membro del governo di Boris Johnson ha inoltre sottolineato che la transizione finirà comunque il 31 dicembre, come stabilito, senza alcuna possibilità di proroga. Gove si è detto “ottimista” su una possibile intesa commerciale “a zero dazi”, ricordando però che i diritti dei cittadini britannici e la sovranità del regno “vengono prima”.
Anche perché, nel frattempo, Boris Johnson sta ridisegnando la politica estera e commerciale della Gran Bretagna con uno sguardo particolare sia agli Stati Uniti dell’alleato Donald Trump che alla Cina. L’obiettivo è rilanciare Londra in “chiave globale”, con indicazioni sulla nuova partnership esterna da costruire con l’Ue, ma soprattutto sui progetti per provare a conciliare le priorità di “un consolidamento” della relazione speciale con Washington e di un’intensificazione dei rapporti con Pechino.
Il governo britannico, aggiunge comunque Gove, conferma però di rifiutare l’allineamento “ad alcuna legge” Ue dopo la fine della transizione post Brexit, incluso su “tasse e immigrazione”, mentre sulla pesca intende gestire le sue acque come “uno Stato sovrano”. L’idea, già più volte esplicitata, è quella di arrivare a relazioni simili a quelle Ue-Canada, in contrasto con i piani del capo negoziatore dell’Unione, Michel Barnier.
Proprio Barnier, intervenendo a un evento del Parlamento europeo, ha dichiarato: “Siamo pronti a offrire al Regno Unito un accesso super preferenziale ai nostri mercati. Questo con un concorrente leale. È qualcosa che possiamo fare senza garanzie certe che il Regno Unito eviterà ingiusti vantaggi competitivi? La risposta, temo, è semplice. Non possiamo”. “Il Regno Unito non è il Canada”, ha aggiunto rispondendo a distanza alla volontà dell’esecutivo britannico e ricordando di avere ricevuto un “mandato a condurre nuovi negoziati per arrivare ad un accordo con il Regno Unito anche se sarà complicato, difficile ed in un tempo limitato”. L’ex commissario ha poi concluso sostenendo che “il Regno Unito non diventerà una sorta di Singapore sul Tamigi, ma ciò significa che non dovrebbe essere un problema per il Regno Unito concordare una serie di regole di base”.
La strategia britannica, però, rischia di diventare un boomerang per l’economica d’oltremanica. Secondo uno studio della Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, il Regno rischia di perdere oltre il 14% delle sue esportazioni verso l’Unione Europea in mancanza di un accordo commerciale. L’export tra Gb e Ue potrebbe diminuire di circa 32 miliardi di dollari a causa dei dazi e delle misure non tariffarie, come le norme tecniche o sanitarie, che incidono pesantemente sul commercio internazionale. Il rapporto stima dunque perdite potenziali tra 11,4 e 16 miliardi di dollari di esportazioni correnti che verrebbero raddoppiate a causa delle misure non tariffarie.
Lo studio prevede inoltre che, anche se le parti firmassero un accordo di libero scambio “standard”, le esportazioni del Regno Unito potrebbero comunque diminuire del 9%. Il mercato Ue rappresenta infatti il 46% dell’export del Regno Unito, quindi un no deal post Brexit infliggerebbe un duro colpo all’economia britannica. Non ultimo, secondo lo studio Onu, l’aumento dei costi commerciali dovuti a misure non tariffarie e a potenziali aumenti di dazi raddoppierebbe gli effetti economici negativi della Brexit per il Regno Unito, l’Ue e i Paesi in via di sviluppo. Infatti, se da un lato le nuove barriere commerciali tra il Regno Unito e l’Ue potrebbero andare a beneficio dei fornitori di Paesi terzi, l’effetto positivo su questi ultimi potrebbe essere attenuato dall’aumento delle differenze normative con una crescita dei costi commerciali che andrebbero a colpire in modo sproporzionato i Paesi più piccoli e più poveri.
C’è intanto il nome del nuovo rappresentante dell’Ue e co-presidente della commissione mista Ue-Gb istituita dall’accordo di recesso sulla Brexit. Si tratta di Maros Sefcovic, vicepresidente slovacco della Commissione Ue, nominato dalla presidente Ursula von der Leyen. La commissione mista è composta da rappresentanti sia dell’Ue che del Regno Unito ed è responsabile della supervisione dell’attuazione e dell’applicazione dell’accordo di divorzio. Tra i suoi compiti c’è l’istituzione del meccanismo per risolvere le eventuali controversie sull’interpretazione dell’accordo. Se dovesse verificarsi uno scenario del genere, l’Ue e il Regno Unito possono rivolgersi reciprocamente a questa commissione.
“Il ruolo della commissione mista deve ora concentrarsi sull’attuazione degli impegni sanciti dall’accordo di recesso e lavoreremo a stretto contatto con il Regno Unito per assicurarci che ciò avvenga effettivamente. Lavoreremo ovviamente di pari passo con Barnier e il suo team”, ha detto Sefcovic. “Non vedo l’ora di lavorare con Sefcovic per garantire che l’accordo di recesso funzioni bene e sia applicato correttamente – ha aggiunto Barnier – Questo sarà fondamentale per costruire un solido partenariato futuro con il Regno Unito”.