Da un lato il nuovo accordo per segnare la pace giudiziaria tra ArcelorMittal e i commissari dell’ex Ilva in amministrazione straordinaria, dall’altra l’ordinanza del sindaco di Taranto che intima all’impresa di adeguarsi entro 60 giorni, pena il fermo degli impianti. È questo, in estrema sintesi, il quadro della situazione nel capoluogo ionico: sulla stessa questione il livello nazionale e il livello locale sembrano viaggiare in direzione opposta.
L’accordo che prevede la modifica del contratto di affitto e acquisizione per rinnovare il polo siderurgico di Taranto dovrebbe essere firmato nei primi giorni della settimana prossima. Un documento che porterebbe principalmente a due obiettivi: evitare la fuga precipitosa di ArcelorMittal e la chiusura delle questioni giudiziarie, anche penali, avviate dopo l’istanza di recesso del contratto depositato dalla multinazionale a novembre. L’accordo sul contenuto del negoziato è sostanzialmente raggiunto da qualche tempo, ma mancherebbero le ultime rifiniture e le firme dei diversi livelli coinvolti nella vicenda, come l’organismo di vigilanza del Mise.
L’accordo è stato trovato in primo luogo sulle questioni economiche e sugli esuberi. Nel primo caso, Mittal ha ottenuto una clausola che gli consente, tra il primo e il 30 di novembre prossimo, di abbandonare gli impianti pagando all’amministrazione straordinaria una penale da mezzo miliardo. Se invece restasse, dovrebbe versare 1,2 miliardi per diventare padrona del siderurgico. La multinazionale, sul versante occupazionale, avrebbe acconsentito a ridurre le pretese sugli esuberi: non più strutturali, ma temporanei utilizzando la cassa integrazione a rotazione per lo stesso numero di lavoratori (circa 1.300) già coinvolto da Mittal a partire da luglio scorso. Ma che Mittal voglia davvero rimanere non sono in molti a crederlo.
Nell’immediato, però, l’accordo dovrebbe dare il via alla rinuncia dei contenziosi, in primo luogo al tribunale di Milano, dove il giudice Claudio Marangoni il prossimo 7 marzo avrebbe dovuto decidere sull’istanza di recesso.
A Taranto, intanto, il sindaco Rinaldo Melucci ha firmato un’ordinanza con la quale impone ad ArcelorMittal e a Ilva in amministrazione straordinaria di individuare gli impianti che nei giorni scorsi hanno provocato imponenti fenomeni emissivi, come la nube di gas che ha costretto i cittadini a barricarsi in casa. Le due società dovranno eliminare “gli eventuali elementi di criticità e le relative anomalie entro 30 giorni” e qualora “siano state individuate le sezioni di impianto oggetto di anomalie” e “non siano state risolte le criticità riscontrate”, Arcelor e Ilva dovranno avviare lo spegnimento degli impianti entro e non oltre i prossimi 60 giorni.
Il documento cita testualmente altiforni, cokerie, agglomerazione, acciaierie: insomma, se le due società non dovessero adeguarsi l’intera area a caldo potrebbe essere bloccata. In una lettera inviata al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il sindaco Melucci ha inoltre sottolineato come “le recenti azioni giudiziarie” di ArcelorMittal e “i sempre più frequenti fenomeni emissivi e incidenti documentati nei vari settori dell’opificio” dimostrino “con tutta evidenza, una definitiva noncuranza nei confronti della salute dei tarantini, della sicurezza dei lavoratori, di ogni utile prospettiva per il sistema economico locale, di una rinascita dell’intera città di Taranto, in coerenza con le azioni programmatiche messe in campo dal Governo italiano e dalla Commissione Ue in tema di transizione ecologica”.
Insomma, una vera e propria dichiarazione di guerra al siderurgico ritenuto al centro delle politiche nazionali solo per la salvaguardia della produzione: tutto per il primo cittadino sembra orientato “al maggior beneficio degli investitori privati, invece che a garantire un progressivo ritorno a una normale qualità della vita da parte dei circa seicentomila residenti dell’Area Vasta Tarantina, dopo mezzo secolo di indicibili ingiurie fisiche e culturali”. Un’ordinanza che le società potrebbero chiaramente impugnare dinanzi al Tar di Lecce: ancora una volta, sulla questione Ilva, l’ultima parola spetterebbe alla magistratura.