Nel settembre del 1983 – quando ero giovanissimo assistente del professor Gaetano Giraldo, virologo di fama internazionale – a Napoli organizzammo il primo convegno scientifico al mondo sull’Aids. In quella occasione – e gli servì per vincere la causa contro il virologo Usa, Bob Gallo – lo scienziato francese Luc Montagnier presentò al mondo scientifico i primi dati dell’Hiv quale causa dell’Aids. Ricordo ancora bene quella conferenza: secondo Montagnier, la trasmissione mondiale dell’Aids era dovuta non solo alla diffusione del virus da lui scoperto ma anche a una serie di concause legate alla nostra “(in)civiltà dei consumi” tra le quali menzionava l’inquinamento e il cibo “spazzatura” che indebolisce le difese immunitarie. Ogni anno la qualità dello sperma maschile peggiora: la fertilità umana ne è gravemente minacciata.
Seguendo quella linea di pensiero, con il gruppo di Giraldo, pubblicavo su Lancet nel 1985 che un marcatore di immuno-stimolazione cronica inefficace (la neopterina) era un ottimo indicatore prognostico nella infezione da Hiv e ciò stava a confermare che la immuno-depressione mortale era la conseguenza finale di una cronica immuno-stimolazione inefficace, lunga anche decenni.
Il fenomeno dello “spill over”, cioè il “salto tra specie” dei virus, è da sempre uno dei fenomeni più temuti in Medicina. Prima di adattarci e generare anticorpi ad un nuovo agente virale patogeno e renderlo così meno pericoloso, madre Natura ha bisogno comunque di un minimo di tempo, per il momento ancora inferiore a quello di tutti i laboratori del mondo che – con i grandi mezzi della ricerca moderna – stanno di fatto “copiando” ciò che fa l’organismo di ognuno di noi. Da qui il grandissimo timore della diffusione di questi nuovi agenti virali contro cui non abbiamo anticorpi perché non ne siamo mai venuti a contatto prima.
La “tempesta” di citokine di difesa del sistema immunitario è stata chiamata in causa per spiegare l’altissima letalità delle epidemie da nuovi virus e/o patogeni come fu ad esempio la “influenza spagnola” del 1917. La polmonite emorragica da virus del raffreddore (forse proprio un coronavirus) in Nuova Zelanda alla fine dell’Ottocento fu molto più letale per gli autoctoni Maori delle fucilate dei “colonizzatori” inglesi. Su tre milioni di Maori presenti in Nuova Zelanda allo sbarco di capitan Cook ne sopravvissero solo circa trecentomila dopo il mortale “raffreddore inglese”. Questo, ed è ormai certo, non sta accadendo oggi con la diffusione del coronavirus cinese. Perché? Perché la letalità è bassissima.
Appare, quindi, sensata speculazione immaginare che la presenza di una infiammazione cronica polmonare da inquinamento ambientale, come quella da polveri sottili che caratterizza in Italia specie la Pianura Padana, oltre che Terra dei Fuochi campana, di fatto eviti quella tempesta di citokine letale chiamata in causa nell’elevata letalità di infezioni polmonari da nuovi agenti patogeni virali. Impedendo in questo modo ai nuovi virus (in assenza di anticorpi specie IgA) di penetrare troppo in profondità nei polmoni, questa infiammazione cronica consente di superare senza eccessivi danni questo ennesimo insulto patogeno.
Abbiamo bisogno tutti di un sistema immunitario integro e sostanzialmente efficiente. Sempre. Ma questa infiammazione cronica inefficace da inquinamento riesce a proteggerci nel tempo anche dagli insulti cancerogeni in costante aumento nelle nostre inquinatissime metropoli? Certamente no. Nel caso del coronavirus, stiamo osservando che il vero rischio lo corrono i cittadini che presentano un sistema immunitario già ampiamente defedato, magari proprio per le cure delle patologie cronico degenerative cui sono stati sottoposti. Ad esempio, chemioterapie contro il cancro.
Il gravissimo inquinamento del nord Italia non è un pericolo solo per la riproduzione umana. In Europa non più di 140 bambini per milione di abitanti sono colpiti dal cancro; in alcune aree del nord Italia come in provincia di Brescia si arriva oggi a circa 200 bambini colpiti da cancro/milione di abitanti: è veramente troppo! A Brescia come a Taranto come in Terra dei Fuochi, ciò che deve fare veramente paura per i nostri figli è il gravissimo inquinamento locale più che il nuovo coronavirus. Questo ci stanno dicendo, e da tempo, i dati epidemiologici.
La qualità dello sperma maschile appare oggi come il più valido indicatore dello stato di salute presente e immediatamente futuro di una popolazione e gli studi dello scienziato acerrano Luigi Montano lo dimostrano. Nei prossimi giorni lo stesso Montano presenterà anche a Brescia i risultati del suo studio internazionale sullo sperma dei giovani bresciani. Non voglio anticipare i risultati ma risulta evidentissima la correlazione diretta tra il gravissimo inquinamento ambientale dell’area con la qualità dello sperma dei giovani bresciani sani: questo vuol dire certezza di una vita da adulto con salute gravemente a rischio, anche se a Brescia potranno curarsi meglio che a Napoli.
Spero che alla presentazione dei dati ci sia qualche giornalista di Vittorio Feltri, autore di un tweet su colera e napoletani.
Da Lombardo devo ammettere che invidio i napoletani che hanno avuto solo il colera, roba piccola in confronto al Corona.
— Vittorio Feltri (@vfeltri) February 21, 2020