Dopo ‘C’ero una volta… La sinistra’ e ‘C’ero una volta… Mani Pulite’, Antonio Padellaro e Silvia Truzzi con il ‘C’ero una volta… il Duce’ – il programma realizzato da Loft Produzioni (in esclusiva per sito e app TvLoft) – si interrogano sul motivo per cui molti italiani sentano ancora la nostalgia di Benito Mussolini mitizzando il Ventennio fascista. Insieme ad alcuni esperti e con il contributo dei filmati dell’epoca dell’Istituto Luce, i due giornalisti analizzano analogie e differenze con l’attualità, in un momento in cui il 48 per cento degli italiani, secondo il Censis, vuole “l’uomo forte” alla guida del Paese. Terzo ospite, dopo Pietrangelo Buttafuoco e il direttore di Radio Capital Massimo Giannini è lo storico del fascismo all’Università di Torino Angelo D’Orsi: “La storia si divide in buona storia e cattiva storia – spiega il professore – Quella buona si basa sui documenti e questi ultimi ci permettono di dare una condanna ed esprimere un giudizio definitivo sul fascismo e su Mussolini”. Di fronte al dato dell’Eurispes secondo cui per il 19% degli italiani “il duce è stato un grande leader che ha commesso qualche sbaglio“ e nei confronti dei tanti luoghi comuni secondo cui il passato è sempre meglio del presente, lo studioso commenta: “Nel passato si sta sempre meglio quando non si ha la capacità di costruire il presente e di guardare al futuro. Quella società che viene decantata in canzoni come ‘Se potessi avere 1000 lire al mese’, in realtà è una vernice dietro alla quale c’è un’opacità terribile. Pensiamo a un romanzo come ‘Paesi tuoi’ di Cesare Pavese, scritto nel 1941 e censurato dal regime, che ci mostra l’altra Italia, quella sordida dei rapporti incestuosi nelle campagne, della miseria morale e materiale: quella era l’Italia”. C’è poi il capitolo sulla propaganda: “Il fascismo ha inaugurato l’epoca della propaganda politica inserendo un elemento di modernizzazione: risale a quel periodo l’invenzione delle ‘veline’, i fogli che dai ministeri arrivavano ai giornali con l’elenco delle notizie da dare, le modalità e l’ordine in cui darle e soprattutto quelle da non dare, come i casi di cronaca nera che venivano fatti sparire a favore delle buone novelle”. Mussolini fu anche il primo a capire l’importanza della costruzione del consenso attraverso l’uso del cinema e della radio: “Il Duce controllava ossessivamente i giornali ritagliando tutto ciò che lo riguardava e segnando con colori diversi le notizie gradite e sgradite. Questo processo va di pari passo con l’altro elemento cioè il fascismo come regime di polizia, una polizia fisica e una polizia della mente che vanno tenuti insieme”, racconta D’Orsi. Rispondendo ad Alessandra Mussolini che sostiene come durante il fascismo non esistesse la corruzione, il professore ricorda gli esiti di studi recenti che dimostrano come invece la corruzione fosse un elemento fondante del regime: “Lo stesso delitto Matteotti (10 giugno 1924, ndr) si inquadra non solo nei suoi interventi parlamentari: nel giorno del suo assassinio, Matteotti avrebbe dovuto tenere un discorso alla Camera su una serie di tangenti legate al petrolio in Africa, una storia di corruzione in cui era coinvolto lo stesso Arnaldo Mussolini, il fratello del Duce”. C’è qualcosa, allora, che si può salvare del fascismo? Secondo D’Orsi sì: “Giovanni Gentile è stato il grande architetto culturale del fascismo: durante il regime si fa, per la prima volta, una politica della cultura“.