Aumenta la preoccupazione per come viene gestita l’assistenza alle persone con grave disabilità nelle aree focolaio. Le donne e gli uomini con importanti disabilità congenite, se contagiate e risultate positive al Covid-19, rischiano la vita molto più della media: "Le famiglie non possono essere lasciate a se stesse; anzi, al contrario, serve dar loro un maggior supporto qualificato. In emergenza le persone con disabilità sono dimenticate e discriminate”
“Nel Lodigiano riscontriamo lentezza e disorganizzazione nel sostenere le famiglie che hanno a carico un disabile. Manca uno specifico protocollo di pronta assistenza uniforme a livello nazionale e ci sono ritardi nel fornire ai Centri Diurni per Disabili indicazioni precise, lasciando in alcuni casi anche senza dispositivi di protezione individuale (mascherine e guanti ndr) gli operatori sociosanitari che sono in prima linea”. A dirlo a Ilfattoquotidiano.it è il vicepresidente di Genitori Tosti Onlus, Giovanni Barin, che vive a Lodi, città vicino alla “zona rossa”. Mentre le vittime del coronavirus in Italia sono salite a 17 e i contagiati oltre 600, aumenta la preoccupazione per come viene gestita l’assistenza alle persone con grave disabilità nelle aree focolaio. Le donne e gli uomini con importanti disabilità congenite, se contagiate e risultate positive al Covid-19, rischiano la vita molto più della media. Sono proprio questi soggetti estremamente fragili, che necessitano di assistenza personale 24 ore su 24, a dover essere, in teoria, monitorati più capillarmente. La realtà documentata sul posto dimostra, invece, che non è proprio cosi.
“Istruzioni sull’apertura dei centri tardive e inadeguate” – “A Lodi e nelle aree limitrofe sono numerosi i centri (CDD, Servizi di Formazione all’Autonomia e Centri socio educativi) dove le persone con disabilità vivono la loro quotidianità. Per loro e le loro famiglie l’emergenza è arrivata dopo”, dice Barin. In che senso? “Gli enti gestori hanno avuto le istruzioni sull’apertura o meno dei centri tardivamente e in modo inadeguato, tanto che le direzioni hanno dovuto prendere decisioni sotto la propria responsabilità interpretando la norma. Se gli assembramenti sono stati vietati perché mai in un luogo dove una cinquantina di persone vivono a stretto contatto non vengono date precise direttive? Se pensiamo poi che non è raro dover assicurare la gestione dei loro dispositivi di assistenza e che agli operatori non è stato fornito alcun dispositivo di protezione individuale, la cosa assume contorni di discriminazione”, secondo il numero due dell’associazione Genitori Tosti. Conferma i problemi riscontrati dalle famiglie dei disabili anche Alessandro Manfredi, presidente Ledha, che vive a Castelgerundo, vicino a Codogno. “Abbiamo ricevuto alcune segnalazioni di situazioni di disagio dovuto alla chiusura dei Centri diurni, decisioni che hanno messo in estrema difficoltà le famiglie. Registriamo che qualcosa di meglio si poteva fare”, dichiara Manfredi. I Cdd fanno capo alla Regione e in un primo momento sono stati chiusi, provocando non poche polemiche, e poi sono stati riaperti nella giornata del 26 febbraio. E’ di competenza invece dei Comuni decidere la chiusura di Sfa e Cse. “Auspichiamo – conclude – un effettivo coordinamento degli enti locali con le associazioni e gli enti gestori dei centri”.
“Dopo l’emergenza serve tavolo per decidere linee guida” – Come stanno vivendo nel Lodigiano i nuclei familiari con un disabile a carico? “Siamo a conoscenza di casi in cui le famiglie hanno dovuto arrangiarsi per far comprendere ai figli cosa sta accadendo”, spiega Barin. “Pensiamo, ad esempio, alle persone con autismo per le quali anche minimi cambiamenti della quotidianità rappresentano un elemento destabilizzante, oppure al reperimento di medicinali e ausili indispensabili, oltre che alla comunicazione dei protocolli negli ospedali alle persone con cecità, ipovisione o sordità, quando è ancora raro un servizio di Lingua dei Segni Italiana o dei protocolli di accoglienza condivisi con famiglie e associazioni. E proprio negli ospedali ci sono state segnalazioni di criticità”, dice Barin. Ovviamente “sarà tutt’altra cosa vedere come evolverà la situazione se le ordinanze di emergenza dovessero protrarsi a lungo. In tal caso non è pensabile proseguire a tentoni come fatto sino ad oggi. Le famiglie non possono essere lasciate a se stesse; anzi, al contrario, serve dar loro un maggior supporto qualificato. In emergenza le persone con disabilità sono dimenticate e discriminate”. Cosa proponete? “Quando sarà passata la fase più critica, come associazioni organizzeremo un tavolo di lavoro interistituzionale con tanti enti coinvolti: ATS, ASST, Croce Rossa, Vigili del Fuoco, Scuola, dalla Regione ai Comuni e Enti gestori dei servizi, per elaborare norme, linee guida e uno scadenzario per rendere operativo e migliorare l’attuale sistema di gestione delle emergenze. Servono risorse professionali ed economiche. La Regione Lombardia deve dimostrare non solo a parole di essere quell’eccellenza che le famiglie con figli con disabilità proprio non trovano”.
Fand e Fish: “Servono canali di comunicazione accessibile e assistenza” – Fand e Fish, le due principali Federazioni italiane di persone con disabilità, chiedono massima attenzione soprattutto per i disabili in quarantena e hanno già presentato suggerimenti all’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità. Ma sostengono le misure portate avanti dal governo. Il 24 febbraio hanno pubblicato un comunicato congiunto nel quale, tra le varie cose, invitano le proprie organizzazioni “ad agire in coordinamento con le strutture territoriali del Sistema Nazionale di Protezione Civile che peraltro negli ultimi anni ha rafforzato e adeguato le procedure di intervento in situazioni di emergenza in presenza di disabilità”. I due enti sottolineano la collaborazione concreta tra loro e l’Ufficio per i disabili che fa riferimento diretto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Una misura su tutte che bisogna attuare subito, secondo Fish e Fand, è “l’attivazione di canali di comunicazione e di assistenza al cittadino che consentano il superamento delle barriere alla comunicazione. In particolare: i numeri verdi telefonici che sono stati istituiti a livello centrale e regionale non possono essere utilizzati da persone sorde o con ipoacusia. Pertanto andrebbe affiancata una modalità di comunicazione via e-mail per questa categoria di persone”.