Il diario frammentario, intimo e sofferto di Matilde, quarant’anni, 130 chili. Genitori ossessionati dall’uso di medicinali (il Dulcolax dopo aver mangiato) per sé e la prole (“a casa nostra non si parla si prendono medicine”), persi nella distrazione del proprio io. Due figli sballottati tra anoressia e bulimia che li travolge e accompagna per il resto della vita. Non superare le dosi consigliate (Guanda) di Costanza Rizzacasa D’Orsogna è uno di quei romanzi dell’epoca post Baricco dove emerge il reticolato della struttura creativa e il contenuto (se c’è, ma qui c’è, sia chiaro) vi si nasconde sotto. Risultare critici quando si analizza un testo che parla di disturbi del comportamento alimentare pare cinico, invece il problema va ribaltato dall’altra parte. È evidente che per l’autrice è importante impostare il meccanismo formale più che la distesa di dolorosi ricordi di Matilde (un elastico di pulsioni dilanianti – “sono una binge eater che fa purging”), tracciati come spurio flusso di coscienza, rilanciati continuamente come se nella ripetizione del paragrafo e del concetto ossessivo risiedesse il valore dell’opera e non nella generale ricomposizione di un vissuto, qui anche biografico. Spiace, ma l’esperimento è faticoso. La trama non si distende, la contrazione espositiva sacrifica il senso del tragico, l’intingere il lessico nella lingua inglese evidenzia vuota leziosità. E soprattutto non c’è passione in questo romanzo dove il peso del non riconoscersi ad uno specchio, in una foto, in mezzo agli altri (cosa non nasce letterariamente attorno al concetto del “mentire” dio solo sa) avrebbero bisogno di una lingua propria, di un’ispirazione profonda, più che di programmatici formalismi. Non superare le dosi consigliate, purtroppo, non l’abbiamo sentito. Peccato. Voto: 5 – –