Il 25 febbraio 2020 dieci scuole siriane sono state bombardate durante l’orario delle lezioni. Dall’inizio dell’anno hanno superato le 20.

Basterebbe questo a chiarire la portata del disastro umanitario in corso in Siria.

Le persone costrette alla fuga hanno superato i tre milioni.
Chi sopravvive ai bombardamenti e ai colpi d’artiglieria si mette in marcia nel bel mezzo del rigidissimo inverno siriano.
Ma non ha un posto dove andare perché l’unico orizzonte, la frontiera turca, è chiusa.

Sono centinaia di migliaia i civili intrappolati.
Ai campi d’accoglienza allestiti, che hanno ormai superato la loro capienza massima, si affiancano accampamenti di fortuna nella speranza di ricevere aiuto.

Là dove non arrivano le bombe, arriva il freddo. A uccidere.

La guerra è questa cosa qui, non importa chi l’abbia cominciata, produce sempre la stessa cosa. Morte.

È da ormai un decennio che la Siria è stata trasformata in scacchiere di una guerra che vede contrapposte diverse potenze mondiali in lotta per l’egemonia sull’intera regione.

Non sono truppe del regime contro ribelli come purtroppo viene raccontata.
Sono truppe di eserciti stranieri, in questo momento Russia e Turchia. Che, esattamente come in Libia, si combattono assoldando anche milizie di mercenari e jihadisti.

L’Europa ha il dovere di far sentire la propria voce, di smetterla di dividersi e di ricostruire un contesto internazionale che non sia più dominato dal caos, ma dal diritto internazionale.

Lo dobbiamo a tutte le donne, gli uomini e ai bambini vittime di questa come delle altre assurde guerre che si stanno combattendo.

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