Al tempo del Coronavirus, dello smartworking e della pubblica amministrazione 4.0, l’Italia fa i conti con il ritardo tecnologico del Paese. La banda ultralarga ancora non c’è, le strutture centrali e periferiche dello Stato spesso non sono connesse fra di loro e le aziende, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, non hanno fatto abbastanza investimenti per prepararsi al telelavoro. Del resto, il primo ad essere in ritardo è lo Stato: Agenda 2020 non ha realizzato gli obiettivi promessi promessi cinque anni fa. Ma quali sono stati i maggiori problemi che hanno impedito lo sviluppo della banda ultralarga nei tempi previsti da Agenda 2020? E soprattutto come si possono superare le criticità recuperando il ritardo tecnologico?
Il fattoquotidiano.it lo ha chiesto a Marco Bellezza, di recente nominato amministratore delegato di Infratel, la società pubblica che ha bandito le gare per gli investimenti in fibra e che vigila sullo stato di avanzamento dei lavori. “Le cause del ritardo sono molteplici: dai ricorsi giurisdizionali presentati contro l’aggiudicazione dei bandi alla fase naturale di startup del concessionario, al mancato o ritardato rilascio dei permessi da parte degli enti preposti – spiega il numero uno della controllata di Invitalia – Onestamente, considerando il sensibile ritardo accumulato, penso sia necessario lavorare sulle soluzioni piuttosto che pensare al passato. L’ultima riunione del Comitato banda ultralarga mi sembra abbia dato un’indicazione precisa: “zero alibi”. Se il problema sono i permessi allora lavoriamo con gli enti che presentano maggiori criticità e troviamo delle soluzioni. I dati che abbiamo a disposizione e abbiamo condiviso con il Cobul (Comitato per la diffusione della Banda Ultralarga, ndr), su impulso della ministra Pisano, non ci dicono però che tutti i cantieri in esercizio siano bloccati per la mancanza di permessi”.
Peraltro il manager evidenzia come recentemente il rapporto con Oper Fiber sia diventato più intenso: “In queste settimane con il concessionario Open Fiber abbiamo impostato una forma di collaborazione più sinergica e ci auguriamo di riuscire a spendere nel più breve tempo possibile gli oltre 300 milioni di euro a disposizione delle aziende che lavorano per Open Fiber che, al momento, hanno prodotto spesa per soli 162 milioni”.
Tuttavia ci sono ancora dossier aperti come ad esempio il catasto del sottosuolo (il Sinfi), una mappatura dei cavidotti che consentirebbe un risparmio fino all’80% sui costi di scavo nella posa della fibra. “Il Sinfi è un progetto nato tre anni fa la cui piattaforma tecnologica è completa e funzionante, la raccolta dati è in corso e quasi l’80% degli operatori obbligati ha conferito i propri dati per il catasto – evidenzia Bellezza -. Ora bisogna lavorare sugli enti territoriali che hanno più difficoltà a conferire i dati per mancanza di risorse e di professionalità specifiche dedicate. Il Ministero dello sviluppo economico ha stanziato 5 milioni di euro per l’evoluzione del progetto e contiamo di utilizzare queste risorse per sostenere i comuni che hanno più difficoltà nel conferimento dei dati“. In questo scenario anche Infratel dovrà fare la sua parte, magari di concerto con la controllante Invitalia, per spingere Open Fiber ad accelerare il processo di posa della banda ultralarga. “Dal mio insediamento, insieme alla dottoressa Elisabetta Ripa (ad di Open Fiber, ndr), abbiamo impostato un rapporto improntato alla concretezza e all’operatività – puntualizza Bellezza -. Abbiamo avviato tre team di lavoro congiunti Infratel-Open Fiber per affrontare insieme, seppur nella doverosa distinzione dei ruoli, i principali problemi operativi e sono certo che tra qualche mese vedremo i frutti di questo lavoro. Dobbiamo traguardare 800 Comuni collaudati nel 2020 (ora siamo a meno di 80) e per fare ciò bisogna lavorare in sinergia con il concessionario. Ho anche incontrato i principali fornitori di Open Fiber che installano la fibra e non mi hanno rappresentato problemi bloccanti rispetto alla realizzazione delle opere previste a Piano“.
Per recuperare terreno, oltre alla fibra, molti Paesi stanno sfruttando l’opportunità del 5G, ma l’Italia ha limiti alle emissioni elettromagnetiche fra i più stringenti dell’Europa. “Il tema dei limiti di emissione è a mio avviso largamente sovrastimato. Non penso che gli operatori abbiano investito così ingenti risorse per aggiudicarsi le frequenze senza tenere in considerazione il quadro normativo nazionale che è particolarmente protettivo ed ispirato al principio di precauzione – sottolinea il numero uno di Infratel -. Il tema da esplorare, anche in termini di economie di scala, risiede nelle possibili integrazioni tra l’infrastruttura in fibra e quella in via di realizzazione per il 5G. In un territorio difficile da infrastrutturare come l’Italia bisogna sfruttare ogni spazio per possibili sinergie tra tecnologie disponibili. Penso al 5G ma anche più nell’immediato all’FWA (Fixed Wireless Access è la tecnologia di accesso a banda larga via onde radio che consente di evitare la parte finale degli scavi fino all’utente con risparmio di tempo e di costi, ndr)”. Se questo è lo scenario complessivo, quali suggerimenti operativi si possono dare al governo per ridurre il digital divide? “Il governo non ha certo bisogno dei miei consigli – conclude -. Il ministro Patuanelli ha indicato molto chiaramente la strada da percorrere. Il mio impegno ad Infratel risiede in un’attuazione il più possibile rapida dei piani governativi sulla banda ultralarga e, mi auguro, in un futuro prossimo sulle tecnologie emergenti (Blockchain, AI e IOT) che rappresentano un terreno di gioco importante per il nostro Paese“.