Nell’ambito della valutazione sui progressi delle riforme strutturali in atto, prevista dal Regolamento (Eu) 1176/2011, la Commissione europea ha approvato alcuni giorni fa il rapporto sull’Italia (Country Report Italy 2020). Tra i temi oggetto della valutazione, le tasse e le finanze pubbliche, il settore finanziario, il mercato del lavoro e le politiche sociali, la competitività, gli investimenti e, non ultimo, la sostenibilità ambientale. Vediamo come stanno le cose sull’ambiente, visto che, a parole, viene sempre identificato come il settore strategico per il futuro delle nostre generazioni.
Il rapporto inizia elogiando il nostro Paese per i progressi raggiunti nell’obiettivo n.13 sullo sviluppo sostenibile (Sdg 13), relativo alle emissioni di gas serra. Tra il 2005 e il 2018, l’Italia ha, in effetti, diminuito del 18% le emissioni climalteranti nei settori cosiddetti non-Ets, ossia residenziale, trasporti, agricoltura e rifiuti. Andrebbe tuttavia specificato che, con le misure attualmente vigenti, c’è ancora un divario del 6% e solo con le nuove misure aggiuntive, previste dall’Italia nel proprio Piano clima (Pniec), si potrà colmare il gap e raggiungere l’obiettivo del -33% assunto dall’Italia in questo settore. D’altro canto, però, il Pniec pone ancora le fonti fossili al centro delle politiche energetiche e dello sviluppo industriale del nostro Paese, visto che al 2040 prevede che quasi il 70% del contributo energetico provenga ancora dal gas, per lo più estero: prospettiva non propriamente in linea con l’obiettivo di decarbonizzazione completa che l’Italia si è posta per il 2050.
Sebbene il rapporto affermi che il governo italiano sta sostenendo la transizione verde, c’è da ricordare che il nostro Paese non riesce proprio a prendere la decisione di dirottare i 19 miliardi di sussidi che attualmente vanno alle fonti fossili verso tale transizione. Affinché vi sia un reale passaggio verso la green economy, sarà necessario utilizzare bene anche quei 20 miliardi di euro a disposizione a livello centrale per il periodo 2020-2034 (inclusi i 364 milioni del Just transition fund a disposizione nel bilancio 2021-2027, che saranno in grado di mobilitare investimenti pubblici e privati per oltre 4,8 miliardi), così come le risorse disponibili presso le amministrazioni locali, magari in sinergia, e non in contrapposizione, tra loro. Partendo dal phase out del carbone che tutti invocano ma che nessuno finora ha dimostrato di saper/voler attuare.
La situazione si aggrava considerando che l’Italia non ha ancora varato il proprio Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, necessario per contenere gli effetti negativi del cambiamento climatico ormai in atto. Azioni che vanno pianificate adesso, non quando tali effetti si saranno mostrati con tutta la loro potenza distruttiva.
Per quanto riguarda il settore privato, il rapporto evidenzia come le imprese italiane stiano diventando più verdi, sebbene solo il 15,7% abbia deciso di internalizzare i costi ambientali e il 13,4% di continuare ad investire nell’economia circolare. Sono più le Pmi ad investire sulla protezione ambientale che le grandi aziende che, al contrario, hanno leggermente diminuito il loro input. Eppure, l’analisi stessa mette in evidenza i dati di Symbola e Unioncamere che confermano che gli eco-investimenti sostengono le esportazioni: un chiaro segnale per il governo ad incrementare gli sforzi affinché il mondo imprenditoriale possa più agevolmente percorrere la strada dello sviluppo sostenibile. Tenendo anche conto che, come più volte sottolineato nel rapporto, la transizione verde può avere positive ricadute sociali, se adeguatamente sostenuta.
Migliorare l’efficienza energetica nel settore civile residenziale, decarbonizzare il settore dei trasporti, promuovere l’economia circolare e prevenire i rischi del cambiamento climatico sono i temi prioritari sui quali, secondo il rapporto, l’Italia dovrà impegnarsi per una reale transizione verde. Il rapporto, infine, sostiene che gli obiettivi di efficienza energetica e fonti rinnovabili previsti al 2020 saranno raggiunti; obiettivi che, tuttavia, secondo molti esperti, non erano molto ambiziosi. Ulteriori misure saranno, comunque, necessarie in vista degli obiettivi 2030. L’analisi della Commissione europea sottolinea come nel settore residenziale, responsabile di più di un terzo del consumo totale di energia, le misure attualmente pianificate non sono sufficienti a raggiungere gli obiettivi inseriti nel Pniec.
Il rapporto ricorda che l’Italia ha diverse procedure di infrazione comunitaria aperte sul tema della qualità dell’aria (sforamento dei limiti per Pm10 e NO2), ove il settore dei trasporti, responsabile anche per il 23% delle emissioni nazionali di gas climalteranti, unitamente a quello del residenziale, è il principale responsabile. I porti vengono identificati come rilevanti per lo sviluppo sostenibile della logistica anche se, molto probabilmente, non saremo in grado di spendere tutte le risorse messe a disposizione per il periodo 2014-2020. Sulla mobilità urbana, vengono sottolineate le potenzialità ma anche il ritardo con il quale le città italiane stanno approntando i propri Piani per la mobilità sostenibile (Pums).
Sul tema dell’economia circolare, infine, l’Italia si posiziona bene, anche se con molta disparità tra le diverse regioni, tranne che per il trattamento delle acque (oggetto di infrazione comunitaria) e per il servizio scadente di distribuzione dell’acqua potabile.
In definitiva, abbiamo ancora molto lavoro da fare, in Italia, se vogliamo veramente raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile assunti in sede sia nazionale che internazionale.