Un trionfo, sì. Si è conclusa con un risultato che migliore era difficile da prevedere la 70ma Berlinale, la prima diretta dall’italiano Carlo Chatrian che esce da questa esperienza da vero vincitore almeno quanto i suoi acclamati compatrioti: Elio Germano, premiato con l’Orso d’argento da miglior attore per la sua straordinaria perfomance in Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, e i fratelli Damiano & Fabio D’Innocenzo vincitori dell’Orso d’argento per la sceneggiatura di Favolacce, il loro nerissimo e disturbante dramma.
“Lo dedico ad Antonio Ligabue che vive qui con noi, dentro di me. E dedico il premio a tutti gli storti, gli sbagliati del nostro tempo” ha detto l’interprete romano che si conferma tra i più apprezzati nostri attori all’estero, ricordandolo vincitore anche a Cannes. Se Volevo nascondermi uscirà prossimamente dopo il rinvio dovuto a precauzioni epidemiche, Favolacce è invece previsto per il 16 aprile con Vision Distribution; la prodigiosa opera seconda dei gemelli D’Innocenzo li ha portati sul palco della Berlinale con visibili emozioni, grati a tutti “soprattutto i bambini del nostro cast”, e con un tenerissimo gesto d’affetto fraterno: “Ti amo fratello mio” ha detto uno, mentre “l’altro” ha reagito con un commosso “Mortacci tua!”
All’unanimità e con un Jeremy Irons presidente di giuria che lo ha acclamato a gran voce da immenso attore qual è (“è un film sulla responsabilità della coscienza di ciascuno di noi, ovunque”), l’Orso d’oro è andato in Iran, nelle mai dell’assente – perché prigioniero dissidente in patria – Mohammad Rasoulof per il suo toccante Sheytan vojud nadarad (There Is No Evil). A riceverlo i suoi cast & crew in lacrime, che glielo hanno dedicato, sottolineando il rischio di imprigionamento di tutti coloro che hanno partecipato a questo film. Opera politica importante, ma ad alto tasso di umanità, inevitabilmente personale ma anche – va detto – molto bella, mette in evidenza attraverso quattro episodi la contraddizione tra le leggi di un regime e la coscienza del singolo cittadino, in particolare in riferimento alla pena di morte per i dissidenti politici.
Una vera ovazione è stata tributata alla cineasta americana Eliza Hittman vincitrice col suo sensibile dramma sull’aborto nell’America contemporanea Never Rarely Sometimes Always, e applausi al maestro sudcoreano Hong Sangsoo vincitore del premio per la regia per il suo The Woman Who Ran. L’orso d’argento alla miglior attrice è andato, infine, all’intensa Paula Beer protagonista dell’ottimo Undinedel tedesco Christian Petzold