Quella che sta emergendo come una delle proposte per far fronte alla mancanza di personale, è in realtà una delle strade previste dall'ultimo decreto approvato dal Parlamento. Con la proposta dell’ultimo Patto della salute, appena inserita nel Milleproroghe, gli aspiranti specialisti potranno essere contrattualizzati in ospedale già dal terzo anno, dunque praticamente a metà percorso. Una soluzione che però secondo università e associazioni rischia di essere solo "una toppa"
Mancano medici? Assumiamo quelli non ancora specializzati e tratteniamo in servizio chi dovrebbe essere già in pensione. Nei giorni in cui il sistema sanitario nazionale si trova a dover affrontare l’emergenza coronavirus, per sopperire alla mancanza di personale si torna a parlare di contratti agli specializzandi o ai pensionati. Lo ha detto nelle scorse ore l’immunologo Giuseppe Remuzzi, ma anche l’assessore della Lombardia Giulio Gallera.
Ma lo stesso governo, proprio prima dello scoppia della crisi, ha provato a mettere una toppa alle carenze di personale negli ospedali italiani, dove entro il 2025 mancheranno 17mila specialisti. Lo ha fatto con un provvedimento straordinario, dietro cui si nasconde lo storico braccio di ferro tra Università e Salute sulle scuole di specializzazione, che metterà solo una toppa al problema. Già dall’anno prossimo 13mila aspiranti medici potrebbero trovare un contratto e portare nuove energie nei reparti, al prezzo di sacrificare un pezzo della formazione. Il rischio è ritrovarsi in corsia medici troppo giovani, o troppo vecchi. Infatti il mondo della sanità è in subbuglio: favorevoli le Regioni, furiosi gli atenei, preoccupati i direttori, divise le associazioni.
DAL DECRETO CALABRIA AL MILLEPROROGHE – La formula magica si chiama “decreto Calabria”: la possibilità di ricorrere agli specializzandi non è una novità assoluta, ma prevista nel provvedimento famoso nell’ambiente varato nel 2019 per la sanità calabrese (da cui il nome) ma con una serie di misure nazionali. Già nella scorsa manovra era stato permesso agli specializzandi di accedere ai concorsi in anticipo, in modo da accelerare l’immissione in ruolo. Poi col decreto Calabria gli specializzandi al penultimo anno non soltanto potevano anticipare le prove, ma anche cominciare a lavorare con una pre-assunzione. Adesso si va ancora oltre (senza però alcun riscontro sugli effetti dei provvedimenti precedenti): con la proposta dell’ultimo Patto della salute, appena inserita nel Milleproroghe, gli aspiranti specialisti potranno essere contrattualizzati in ospedale già dal terzo anno, dunque praticamente a metà percorso.
GRADUATORIE RISERVATE E SUBITO AL LAVORO – Gli specializzandi possono partecipare a dei concorsi banditi su base aziendale o regionale, per essere collocati in una graduatoria parallela a quella dei concorsi ordinari, a cui si attinge nel caso in cui queste siano esaurite. L’assunzione è a tempo determinato e part-time (una quote di ore è lasciata alla parte teorica), una volta conclusa la specializzazione può essere convertito in indeterminato. Messa così pare un’opportunità: l’ingresso nel mondo del lavoro viene anticipato, con un miglioramento immediato delle condizioni contrattuali, visto che si passa dallo stipendio da specializzando (circa 1.700 euro al mese) a quello di dirigente, con tutele e contributi. In realtà il provvedimento presenta una serie di criticità, sul piano della responsabilità e della formazione.
PIÙ MEDICI, MENO PREPARATI – Le più arrabbiate sono le Università: così rischiano di perdere gli specializzandi nel loro momento migliore, quando diventano più utili. Gli atenei lo vivono come uno “scippo”: del resto il controllo delle scuole di specializzazione è da sempre motivo di scontro fra la sanità universitaria e quella ospedaliera, che prenderebbe il sopravvento. Ma non è questa guerra di potere il vero problema. Il principale è di tipo penale: chi si prenderà la responsabilità di eventuali errori di medici non specialisti, che da specializzandi si muovono nei reparti sotto la supervisione di un tutor? Un’incombenza in più per i direttori di struttura. E poi, inevitabilmente, verrà sacrificato un pezzo della formazione: più lavoro, meno studio, specie per quelli che finiranno in ospedali periferici, non accreditati per la formazione universitaria. Tutto dovrà essere regolato da accordi firmati tra Regioni e università: le prime spingono e le seconde preparano le barricate, col rischio di creare differenze sul territorio. L’effetto finale sarà avere più medici (la platea degli interessati è di circa 13mila in tutta Italia), ma meno preparati.
LA TOPPA AL BUCO: MANCANO 8MILA SPECIALISTI – A questo si è arrivati per le carenze sempre più allarmanti negli ospedali italiani: secondo uno studio dell’Anaao (Associazione medici dirigenti), a causa del blocco del turnover mancano circa 8mila specialisti, cifra che salirà a 17mila entro il 2025. Per questo il presidente Carlo Palermo è a favore: “È un provvedimento emergenziale, con tutto ciò che comporta, ma è il migliore possibile nelle condizioni attuali: sarà un bene sia per i giovani, a cui darà un’opportunità importante, che per il nostro sistema sanitario, che ha bisogno di energie”.
Di diversa opinione il Segretariato dei giovani medici: “Siamo contrari a misure che compromettono la qualità della formazione specialistica”. Alcuni la vedono come un’occasione, altri sono spaventati dalla prospettiva di ritrovarsi catapultati in reparto da dirigenti. “L’unica risposta a lungo termine alla carenza di specialisti – proseguono dal Sigm – è aumentare il numero di borse”. Ed in effetti lo storico problema del sistema di reclutamento nella sanità è proprio il cosiddetto “imbuto” tra la laurea e la specializzazione, per cui migliaia di laureati ogni anno restano fuori dalle scuole, che non producono abbastanza specialisti. In attesa di aumentare il numero degli specializzandi, il governo ha deciso di mandarli prima a lavoro.