Il processo d’Appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia si allunga mentre la posizione di Massimo Ciancimino va verso la prescrizione. La corte d’assise d’appello che celebra il dibattimento di secondo grado ha disposto, su istanza dei legali, lo stralcio della posizione del figlio di don Vito da quella degli altri imputati: ex politici come Marcello Dell’Utri, boss e ufficiali dei carabinieri come Mario Mori e Antonio Subranni. Ciancimino junior è stato condannato a 8 anni in primo grado per calunnia aggravata ai danni dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. I suoi legali alle scorse udienze hanno chiesto lo stralcio della sua posizione ritenendo che i reati contestati fossero già prescritti prima della pronuncia della sentenza di primo grado. Il 16 aprile la Procura generale e le difese di Ciancimino dovranno concludere. Sarà poi la corte a stabilire se decidere nel merito o pronunciarsi sulla prescrizione. Nel caso in cui i giudici ritenessero la sussistenza degli estremi per una pronuncia di assoluzione nel merito, questa dovrebbe infatti prevalere sulla dichiarazione di prescrizione.

In ogni caso i tempi del processo d’appello sono destinati ad allungarsi. Sciogliendo una serie di riserve relative a richieste di nuovi testimoni e acquisizioni documentali, infatti, la corte ha ammesso la citazione a deporre dei pentiti Vittorio Foschini, Antonino Cuzzola, Salvatore Pace, già sentiti nel processo in corso a Reggio Calabria sulla ‘ndrangheta stragista, e Armando Palmeri. Quest’ultimo dovrà deporre su legami tra esponenti dei Servizi Segreti e ambienti mafiosi.

Verranno sentiti anche l’ex capocentro del Sisde Maurizio Navarra e l’ex tenente Franco Battaglini, l’autore della nota riservata dei Servizi segreti che comunicava che il boss Totò Riina aveva in carcere la disponibilità di un telefono cellulare dopo l’arresto. Agli atti del processo anche il fascicolo dell’indagine aperta e poi archiviata sulla vicenda.Entreranno nel processo anche l’inchiesta sul misterioso suicidio in carcere del mafioso Nino Gioè, la sua lettera-testamento, che suscitò i commenti dell’ex consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio e dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. E poi anche gli accertamenti sui legami tra Gioè e Paolo Bellini, l’uomo vicino agli ambienti di estrema destra che tentò una trattativa con i boss per il recupero delle opere d’arte rubate. Bellini, alias “primula nera”, è recentemente finito indagato per la strage di Bologna.

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