Tanto rumore per nulla. Nulla non certo per il problema, che è enorme: un intero Paese paralizzato dall’emergenza Coronavirus, e quindi anche il calcio. Nulla per il risultato: dopo una settimana di pressioni, manovre sottobanco, litigi, insulti via social, diffide legali incrociate, Juventus-Inter, la pietra dello scandalo (perché, inutile nascondersi, nulla di tutto ciò sarebbe successo se in calendario ci fosse stata una partita meno importante), si giocherà domenica sera a porte chiuse. Esattamente come avrebbe dovuto essere una settimana fa, ma con sette giorni e un turno e mezzo di ritardo, perso per colpa dei dirigenti della Lega calcio.
Alla fine ci ha dovuto pensare il governo a riportare sulla terra gli avidi presidenti della Serie A: visto che loro continuavano a litigare guardando solo ai propri interessi economici e sportivi, a come recuperare l’incasso che sarebbe andato perduto, a quando e in che condizioni giocare più favorevolmente una gara importante, il ministro Spadafora ha stabilito che di qui al 2 aprile si giocherà solo ed esclusivamente a porte chiuse. Il diktat finale è arrivato da Palazzo Chigi, ed è stato poi ratificato dalla Figc di Gabriele Gravina. Dalla Lega calcio del presidente Paolo Dal Pino anche stavolta nemmeno una parola. Tutto è bene quel che finisce bene, dunque. Mica tanto. Il campionato resta pesantemente a rischio (immaginate cosa succederebbe se la situazione nazionale dovesse peggiorare, o se fosse contagiato un calciatore di Serie A), e probabilmente è già falsato. Un po’ anche dalle porte chiuse, certo: giocare per un mese senza tifosi non sarà la stessa cosa, ma non ci si può far nulla. I danni maggiori la Serie A se li è fatti da soli, con la sua ridicola gestione dell’emergenza.
Non si tratta solo della figuraccia planetaria a cui è stato esposto il nostro calcio: hanno rinviato all’ultimo secondo la partita più importante dell’anno per “tutelare l’immagine del prodotto” e non trasmettere all’estero le immagini della sfida scudetto a spalti vuoti (almeno questa è stata la scusa ufficiale), trasformando in realtà il campionato in una barzelletta di cui ha riso tutto il mondo. Il problema vero è che l’incertezza della Lega ha complicato ulteriormente una situazione già delicatissima. Questo weekend si recuperano le sei gare rinviate domenica scorsa (compresa Juve-Inter, in posticipo), dalla prossima si riprende col calendario facendo slittare le giornate e inserendo un turno infrasettimanale il 13 maggio. E poi? Non si sa: le partite rinviate due settimane fa verranno recuperate a spezzoni, tranne Inter-Sampdoria per cui non c’è una data disponibile. Lo stesso per la Coppa Italia: già non si sapeva quando (e nemmeno dove: dal 18 maggio in poi lo Stadio Olimpico di Roma diventa “Uefa venue” per Euro 2020 e non è disponibile) disputare la finale, adesso si sono aggiunte pure le semifinali che coinvolgono quattro squadre di vertice (di cui tre potenzialmente impegnate in Europa) e sono difficilissime da incastrare. Ad oggi ci sono due, tre partite fuori dal calendario, con la concreta possibilità di doverle giocare dopo la fine del torneo (per la finale di Coppa Italia si parla persino di agosto, che follia), e il paradosso di una Lega calcio che deve tifare contro le italiane in Europa per concludere la stagione.
Tutto questo non è colpa del virus, ma dell’incapacità dei capi del pallone. Se Dal Pino non avesse ceduto alle pressioni, mantenendo il proposito di giocare da subito porte chiuse, l’unica scelta possibile che per altro era già stata ufficializzata dalla Lega, ora la situazione sarebbe critica ma non drammatica. Di fatto, la sua debolezza (il presidente dell’Inter Steven Zhang la chiamerebbe proprio “pagliacciata”) è costata un turno e mezzo (domenica scorsa, più le due gare di Coppa rinviate tra mercoledì e giovedì) che sarebbe stato preziosissimo per il calcio italiano. Invece adesso il campionato è appeso a un filo. Oltre alla beffa, pure il danno.