Calcio

Coronavirus, la Lega calcio fa appello al ‘buon senso’. Io piuttosto lo chiamerei paraculismo

di Nicola Melzani

Con l’emergenza del Covid-19 il governo ha adottato provvedimenti per la tutela della salute pubblica. Provvedimenti che hanno toccato anche lo sport, con vari divieti nelle regioni più colpite dall’epidemia. Tutte le leghe professionistiche hanno preso atto e agito di conseguenza riorganizzando i campionati in modo lineare e uniforme. L’unica a entrare nel caos è stata la Lega di serie A. Da due settimane il campionato vive nella più totale confusione per un semplice motivo: chi decide in Lega non ha come primo pensiero la tutela del campionato ma gli interessi dei club più importanti e non riuscendo a conciliarli in un momento di difficoltà come questo si è creato un cortocircuito che è sotto gli occhi di tutti.

Ma questo non deve sorprendere. E’ una semplice e prevedibile conseguenza di come viene gestito il calcio in Italia. Alcuni esempi:

– Semifinali di Coppa Italia: Inter-Napoli, Milan-Juventus. Praticamente il gotha del calcio italiano. Certamente le più forti, ma che sono arrivate lì anche grazie a un piccolo vantaggio, il fattore campo. In Spagna e Inghilterra, per portare equilibrio tra i contendenti danno piccoli vantaggi alle squadre meno attrezzate come quello di giocare in casa della compagine più debole. In Italia avviene l’opposto, si gioca in casa del grande club proprio per permettergli di arrivare con facilità alle finali.

Napoli impegnato in Champions col Barcellona il martedì? Brescia-Napoli anticipata al venerdì. Atalanta impegnata in Champions il martedì? La Lega lascia Atalanta-Lazio il sabato nonostante le richieste bergamasche di anticipare al venerdì.

– Curiosa l’applicazione della prova tv per le bestemmie. Dal 2010 sono stati squalificati giocatori e allenatori di Spezia, Chievo, Trapani, Brescia, Lecce, Parma, Livorno, ecc. Mentre di Juve, Inter, Milan, Napoli, Roma, in dieci anni nessun tesserato squalificato. Evidentemente nei grandi club ce la si prende solo con gli zii. Di questo “modo di essere” non possono che risentirne anche gli arbitri che inevitabilmente tendono a favorire il grande club rispetto al piccolo. Non per fantomatici complotti o strategie decise a tavolino, ma semplicemente perché funziona così. Un episodio letto a favore del grande club è ben accetto, un episodio letto a favore del piccolo club scatena l’ira del club più forte con linciaggio dell’arbitro in questione sui mass media. Così, per istinto di sopravvivenza, l’arbitro è portato a seguire la corrente.

Come ha detto Maurizio Sarri dopo Lione-Juve di Champions, i due episodi dubbi da rigore reclamati dalla Juventus in Italia sarebbero stati fischiati. E non sarebbero stati considerati errori ma semplicemente interpretazioni favorevoli. Ma ce lo vedete voi un arbitro richiamato dal Var per una mano sul petto di Dybala non interpretarla come fallo? Con la Juve che perde 1-0? Se non è votato all’autolesionismo l’arbitro fischia rigore. Dico Juve ma potrei dire Napoli, Inter, Milan, Roma, e giù giù con tutte le altre.

Pesce grosso ha ragione, pesce piccolo ha torto: è la legge del paraculismo italiano. E in Lega rimane sempre in vigore, spesso sotto la dicitura “buon senso”, anche in piena emergenza coronavirus. Mi viene in mente il motto di una nota società di calcio: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. In tempi di Covid-19 suona un po’ sinistro.

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