Il governo ha rinviato il referendum per il taglio dei parlamentari. La consultazione referendaria per portare i seggi da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato era prevista per il 29 marzo, ma l’emergenza legata al Coronavirus ha obbligato l’esecutivo a optare per un rinvio.”Non c’è ancora una nuova data, è un rinvio tecnicamente sine die”, ha detto il premier Giuseppe Conte. Sulla nuova data, il presidente del consiglio ha spiegato di volere consultarsi “con i comitati, ma vi confesso che non ho avuto neanche un piccolo spazio per interloquire con loro. Oggi abbiamo valutato dal punto di vista tecnico la fattibilità o meno del referendum. Mi riprometto di sentire i vari comitati perché si tratterà di trovare un’altra data”.
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ha spiegato che il rinvio è stato deciso “allo scopo di assicurare a tutti i soggetti politici una campagna elettorale efficace e ai cittadini un’informazione adeguata”. Per quanto riguarda la data del rinvio, il ministro ha detto che “la legge ci consente di fissare la nuova data entro il 23 marzo 2020, in una domenica compresa tra il 50° ed il 70° giorno successivo all’indizione”. E dunque il referendum si dovrà tenere tra il 10 e il 31 maggio. Le scadenze, infatti, sono imposte dalla legge del 1970 che regola i referendum. Dopo il via libera della Cassazione alla legittimità della richiesta del referendum, la legge prevede che il governo abbia 60 giorni di tempo per convocare il Consiglio dei ministri che a sua volta debba fissare la data della consultazione popolare. Essendo stato dato il via libera dalla Cassazione il 23 gennaio scorso, ne consegue che il decisivo Consiglio dei ministri deve essere convocato entro e non oltre il 23 marzo.
La legge stabilisce quindi che l’esecutivo possa fissare la data del referendum in un giorno tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno successivo. Quindi la forbice è teoricamente molto ampia, visto che il Consiglio dei ministri decisivo potrebbe essere già domani come tra 14 giorni, e che in esso si potrebbe puntare ad una campagna più corta (50 giorni) o più lunga (70). Le domeniche in gioco sono le quattro tra il 10 e il 31 maggio; ma il 17 sono fissate le elezioni regionali amministrative e il 31 i ballottaggi, e quindi se si puntasse a un election day sarebbero le date più probabili. Se invece il coronavirus non mollasse la presa costringendo a rinviare anche le regionali a settembre, si dovrebbe ricorrere a un decreto per derogare la legge del 1970.
A chiedere di svolgere il referendum insieme alle regionale è il Movimento 5 stelle: “Siamo in una situazione di grave emergenza economica, stiamo cercando di recuperare ogni euro possibile e non possiamo permetterci che il Referendum sia un costo aggiuntivo. Cercheremo di ottenere l’accorpamento di tutte le elezioni che ci sono in un’unica data. Questa è la nostra proposta”, dice il capo politico del M5S Vito Crimi. Di segno opposto la richiesta dei Cangini, Nannicini e Pagano che hanno promosso la consultazione: “Sarebbe molto grave se il governo decidesse di accorpare il referendum con le elezioni regionali. Non sarebbe accettabile una consultazione referendaria con un’affluenza a macchia di leopardo e soprattutto la confusione che si creerebbe per la sovrapposizione tra campagne elettorali così diverse tra loro. Non è un caso che nella storia repubblicana i referendum costituzionali non siano mai stati accorpati ad altre consultazioni”.