La Spagna cambia la legge che punisce i reati sessuali. Solo sì es sì, soltanto il sì significa sì: il disegno di legge porta questo nome perché rende centrale il consenso della vittima. Un progetto di legge che il governo di sinistra formato dalla coalizione di socialisti e Podemos ha approvato nonostante i litigi all’interno dell’alleanza – primo test di tenuta del patto tra il premier Pedro Sànchez e Pablo Iglesias – e su spinta del movimento femminista e dell’opinione pubblica soprattutto dopo la storia della Manada di Pamplona quando nel 2016 i cinque condannati per uno stupro di gruppo durante la festa di San Firmino furono dichiarati colpevoli solo di abuso sessuale e non di violenza perché – fu la tesi – la vittima non oppose resistenza. Ora invece nella formulazione della nuova legge la “esplicita espressione di consenso” diventa centrale per la qualificazione del reato. La legge precisa la definizione di consenso, secondo cui: “Non esiste consenso quando la vittima non abbia manifestato liberamente con atti espliciti, inconfutabili e inequivoci” la “propria espressa volontà di partecipare all’atto” sessuale. La ministra all’Uguaglianza Irene Montero (Podemos) ha dichiarato che per il testo è stata fondamentale la spinta del movimento femminista spagnolo e che, grazie ad esso, Madrid sarà un riferimento internazionale e “un Paese più sicuro per le donne”. La proposta dovrà essere discussa e approvata dal Parlamento nei prossimi mesi. Nella legge sono previsti anche centri per le vittime aperti 24 ore al giorno, con personale formato, tribunali speciali per questi reati e campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere. Secondo i dati del governo spagnolo, solo il 10 per cento delle violenze sessuali è denunciato nel Paese, mentre tra 2017 e 2018 il numero degli stupri è aumentato del 28,4 per cento. L’obiettivo della riforma è quella di adattarsi al Trattato di Istanbul del 2011 (che l’Italia ha già ratificato nel 2013) la quale impone che non siano altri elementi a definire i reati a sfondo sessuale, se non il consenso.

Nell’ultima settimana il testo della legge ha subito diversi cambiamenti, tra obiezioni e modifiche. La formulazione del provvedimento, caratterizzante per i partiti di sinistra, è stata il primo banco di prova per la coalizione Psoe-Podemos. Lo scontro aperto è stato tra la ministra Montero e la vicepremier Carmen Calvo, che ora ha la delega ai Rapporti col Parlamento ma nella legislatura precedente – in un esecutivo monocolore – aveva l’uguaglianza. Sotto traccia il duello è stato ulteriormente acceso e si è aggiunto anche un altro ministro socialista, il titolare della Giustizia Juan Carlos Campo. Fonti interne allo stesso governo hanno accusato direttamente Calvo e Campo di aver provato a “bloccare con delle scuse di questioni tecniche” la norma.

Dalla vicepresidenza evitano di entrare in questa polemica e hanno dichiarato che “si tratta di una legge di tutto il governo, nel cui dibattito possono inserirsi tutti i ministeri. Non c’è un ‘loro’ e un ‘noi’. Si sono potute migliorare molte cose dal momento dell’accordo”. Questo scontro non è il primo: già a luglio dello scorso anno, durante le negoziazioni fallite, uno degli elementi di disputa fu proprio il ministero dell’Uguaglianza. Dal canto suo Unidas Podemos ha usato questa legge un po’ come una “bandiera” e chiaramente presentano questo passaggio come una loro vittoria, cosa che ai socialisti e in particolare a Calvo (alla quale pare sia scocciato molto di aver perso la delega all’Uguaglianza) non va giù. Si rimbalzano le accuse di “averci messo troppo tempo”, mentre invece da Unidas Podemos rispondono che è stato proprio il ministero della Giustizia a metterci così tanto per operare le modifiche al testo.

Mentre il botta e risposta continua e la polemica si trascina, l’approvazione del disegno di legge del “Solo sí es sí” rende chiara l’influenza del movimento femminista sulla vita politica della Spagna, culminato l’8 marzo di due anni fa con il primo sciopero femminista. Il fatto che ora sia riconosciuto per legge che l’assenza di un “no” (non muoversi, non comportarsi per far capire il no anche senza dirlo o non dirlo proprio, per ragioni esterne alla propria volontà) non equivale al consenso è una grande vittoria del movimento che, tra scioperi e rivendicazioni di vario genere, negli ultimi anni è riuscita a far “cambiare il paradigma”, come ha spiegato la penalista Carla Vall, specializzata in violenza maschilista. “Invece di dimostrare che non c’è stato un no da parte della vittima – continua – bisogna dimostrare l’assenza di un sì nel suo senso più ampio”.

Ma il movimento femminista spagnolo si batte per molto più della fondamentale modifica del codice penale: le denunce per violenza sessuale che sono cresciute del 60 per cento in sei anni, il lavoro “invisibile” delle donne sia a casa per prendersi cura di bambini e anziani, sia, per fare un esempio, nelle università (su 50 centri pubblici le rettrici sono solo 9) e il cosiddetto “soffitto di cristallo” sono solamente tre delle tematiche prese a cuore da chi, da anni, manifesta e sciopera non solo l’8 marzo.

Sono i numeri a parlare: in Spagna ci sono 16,3 milioni di persone inattive, che non sono classificate né come lavoratori, né come disoccupati. Il 57,9 per cento di questi è rappresentato da donne, il 42,1 da uomini secondo gli ultimi dati dell’Epa (l’indice di struttura della popolazione attiva spagnola), però le cause di questa inattività sono differenti e mostrano una sproporzione nella suddivisione delle attività di assistenza. Il 4,8 per cento delle donne inattive ha affermato di non cercare un impiego per dedicarsi alla cura di figli, anziani, persone con disabilità o persone malate, quando invece la percentuale degli uomini si riduce allo 0,5.

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