La censura sul coronavirus non si è palesata soltanto nel caso di Li Weinliang, l’oftalmologo di Wuhan morto contagiato a febbraio che già il 30 dicembre aveva lanciato l’allarme per l’epidemia. Il controllo per evitare che venissero diffuse notizie online sul virus era già cominciato a inizio 2020, molto prima che si avesse l’esatta percezione dell’epidemia. Nel mirino in particolare la app di messaggistica cinese WeChat e il sito di streaming YY, entrambi popolarissimi. A rilevarlo un rapporto del centro studi canadese Citizen Lab, secondo cui sin dalle prime notizie sul Sars-CoV-2 sono state bloccate le ricerche con parole chiave legate al virus.
WeChat, si legge nello studio, ha censurato 132 combinazioni di parole chiave nelle ricerche tra l’1 e il 31 gennaio, a cui se ne sono aggiunte altre 384 nei primi quindici giorni di febbraio. Ad essere bloccate erano ricerche con combinazioni come ‘epidemia+autorità locali+governo centrale’, o ‘Wuhan+virus+trasmissione interumana’, oltre a molti riferimenti proprio a Li Wenliang. Per quanto riguarda YY, lo studio ha trovato 45 parole chiave nella ‘black list’aggiunte il 31 dicembre, il giorno in cui le autorità cinesi hanno segnalato i primi casi all’Oms, tra cui ‘polmonite sconosciuta di Wuhan’ e ‘focolaio di Sars a Wuhan’.
“La censura in Cina funziona con un sistema di ‘autodisciplina’, in cui le piattaforme sono ritenute responsabili dei contenuti – spiegano gli autori -. Il fenomeno è particolarmente dannoso perchè WeChat ha un ruolo centrale nella vita di molte persone in Cina, essendo l’equivalente di WhatsApp, Facebook, Apple Pay e altre applicazione riunite in una”.