Chiuso per Coronavirus. Campionati, eventi, tornei. Ma anche scuole calcio e associazioni, a volte persino piscine e palestre, più a macchia di leopardo, a seconda delle zone e delle scelte individuali. Lo sport italiano si ferma, quasi tutto, quasi ovunque. Nonostante il parere del governo, che aveva invitato l’attività di base ad andare avanti. Una comunicazione chiara, ma evidentemente non sufficiente a rassicurare il mondo dello sport che ha preferito darsi lo stop da solo: le Federazioni hanno sospeso le attività, salvando solo le competizioni professionistiche (per gli interessi economici), in certi casi nemmeno quelle. Le società chiudono i battenti per paura e solo realismo, visto che garantire le condizioni di sicurezza è impossibile. L’emergenza Coronavirus sta togliendo agli italiani anche lo sport, guardato e praticato.
COSA DICE IL DECRETO PER LO SPORT – In realtà l’ultimo decreto emanato dal governo avrebbe dovuto in una certa maniera “salvare” le attività. Come è noto, il dpcm del 4 marzo ha sospeso “tutti gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in ogni luogo sia pubblico che privato”, concedendo però come alternativa al rinvio la possibilità di svolgerli a porte chiuse. Per quanto riguarda lo sport di base, invece, c’era l’ok a condizione di praticare in condizioni di sicurezza. Dunque in teoria porte chiuse (o rinvio) per gli agonisti, via libera con prudenza agli amatori. Le cose però stanno andando un po’ diversamente.
LE “CONDIZIONI” IMPOSSIBILI DEL GOVERNO – La comunicazione del governo ha creato non pochi dubbi nell’ambiente. Passi per l’alto livello, dove c’era una linea chiara che permetterà ad esempio alla Serie A di tornare in campo (ma per tante altre competizioni meno ricche e importanti i problemi ci saranno lo stesso, visto che non tutte le società hanno il personale medico richiesto dal Dpcm per per effettuare i controlli previsti). La questione si è posta soprattutto per l’attività di base: il governo ha posto delle condizioni (attività a un metro di distanza) quasi impossibili. Chi stabilisce se un centro e una disciplina è in grado di ottemperarle? Chi ne verifica il rispetto? L’indicazione era molto generica, tanto che oggi l’ufficio per lo Sport ha dovuto specificare che “in merito alle richieste di chiarimenti (e ne sono arrivate tante, nda) laddove non è possibile assicurare la distanza di almeno 1 metro, l’attività non può essere svolta”. Suona come una restrizione, senza però comunque prendersi la responsabilità di fermare o consentire l’attività, demandando ad altri la scelta.
DAL CALCIO AL BASKET: ATTIVITA’ SOSPESE, GIOCANO SOLO I GRANDI – La posizione più netta l’ha presa il pallone. La Figc non ha soltanto sospeso fino al 15 marzo le gare dei campionati minori e giovanili, in accordo con la Lega Dilettanti, ma soprattutto le sedute nei centri di base e nelle scuole calcio. E questo perché spesso grandi e piccoli condividono le stesse strutture, rischierebbero di contagiarsi reciprocamente vanificando le misure di contenimento (come la chiusura di stadi e scuole). Qualcosa di simile, pur in assenza di un’indicazione così forte, potrebbe avvenire nella pallavolo, disciplina che molto spesso utilizza per gli allenamenti a livello locale e giovanile le palestre scolastiche (che per ovvie ragioni saranno indisponibili). Altre Federazioni hanno stoppato le competizioni: chi come la pallacanestro solo per juniores e regionali, chi come il rugby senza distinzione fra attività agonistica e non agonistica, chi come l’atletica leggera addirittura fino al 2 aprile. Resta il tema degli allenamenti, ufficialmente consentiti a porte chiuse, ma sempre con la grossa incognita delle condizioni di sicurezze: le prime sensazioni che arrivano dall’ambiente è che non si faranno nemmeno quelli, perché la maggior parte di società e associazioni deciderà di fermarsi. “Certo – è lo stesso commento che si sente da più parti, Federazioni, Comuni, squadre – in una situazione simile sarebbe stato meglio ricevere un’indicazione chiara dal governo”.
PISCINE E PALESTRE, LE ULTIME APERTE – Tra le poche discipline meno travolte dall’emergenza c’è invece il nuoto: fermo restando le porte chiuse per le competizioni, qui la Federazione ha interpretato il decreto in nome del “buon senso”, individuando come criterio “la verifica della partecipazione all’attività di coloro che non presentino febbre o altri sintomi”, oltre a “precauzioni igienico-sanitarie”; del resto in acqua non c’è contatto, in corsia è possibile tenersi a distanza. Le piscine dunque per ora restano aperte, anche qui però con le dovute eccezioni: in Lombardia e provincia di Piacenza, le zone più colpite dal contagio, è tutto chiuso fino ad aprile per ordine governativo. Nel resto d’Italia la decisione finale resta comunque in capo al gestore dell’impianto, pubblico (enti locali) o molto più spesso privato, per cui si vedranno scelte differenti. La chiusura è un costo, ma di fronte a una frequenza troppo bassa c’è anche chi potrebbe scegliere di chiudere per risparmiare almeno sulle spese. Stesso discorso per le palestre, associazioni e centri sportivi vari: a parte le grandi catene, si tratta quasi sempre di associazioni dilettantistiche affiliate a Enti di promozione sportiva, che fin qui non hanno dato indicazioni specifiche. In generale la tendenza è rimanere aperti, almeno per il momento, poi se la situazione dovesse precipitare o dovessero arrivare nuove direttive bisognerà arrendersi. Alla fine resterà solo la Serie A, che per prima si era fermata e che invece andrà avanti sempre per la stessa ragione, per tutelare i propri interessi economici. Ma da guardare rigorosamente in tv, sul divano di casa, a debita distanza uno dall’altro.