Prigionieri dell’oceano (Lifeboat) è un piccolo capolavoro di Alfred Hitchcock realizzato nel 1944 e tratto da una storia di John Steinbeck. Racconta la storia di un naufragio. Una nave americana viene fatta colare a picco da un U-boot tedesco che a sua volta si inabissa nel corso della battaglia.
Su una lancia di salvataggio – secondo la trama che traggo da Wikipedia – si raccolgono svariati personaggi: Connie Porter, un’elegante giornalista con la sua valigia e la macchina da scrivere; John Kovac un giovane ingegnere addetto alla sala macchine, di simpatie comuniste, una giovane donna britannica, Miss Higley, il cui figlio è morto, salvata da Joe, un cameriere nero; Sergio Rittenhouse, un industriale molto ricco, incallito giocatore di poker; Gus Smith, un marinaio ferito ad una gamba; Stanley Garrett, operatore radio e Alice Mac Kenzie, un’infermiera.
Per ultimo sale sulla lancia Willy, un nemico tedesco che nega di essere il comandante dell’U-boot, nonostante i sospetti di John. Sembra parlare solo tedesco, che solamente la giornalista Connie conosce. I naufraghi sono combattuti sul comportamento da adottare nei suoi confronti: gettarlo a mare, come vuole Kovac, oppure offrirgli la salvezza? Sospettare delle sue intenzioni o accettare l’aiuto che lui offre? Prevale la decisione di tenerlo a bordo. Manca qualcuno in grado di navigare con competenza verso le isole Bermude dove si trova la base americana.
Il tedesco dichiara di essere un Capitano esperto nella navigazione e, contro il parere di Kovac, prende il comando dell’imbarcazione e la scelta della rotta da seguire. La vita a bordo è sempre più difficile: Miss Higley comprende che il suo bambino è morto e si suicida; al marinaio Gus va in gangrena la gamba ferita e il tedesco, con l’aiuto dell’infermiera, procede all’amputazione; una tempesta distrugge le provviste di cibo e d’acqua. Fra i naufraghi serpeggiano lo stress e le tensioni, acuite dalla disidratazione. Ognuno fa i conti coi propri limiti e con la fame e la sete che lo opprime. L’elemento di contrasto più serio continua ad essere il rapporto col tedesco.
Alla fine si scopre che il Capitano Willy comprende perfettamente l’inglese, che beve acqua mentre gli altri ardono di sete, che ha spinto in mare del povero Gus (considerato un inutile fardello) e che non è un orologio quello che spesso consulta ma una bussola e che la rotta da lui seguita porta ad una nave nazista…
Bene, nell’ora dell’emergenza il comportamento della cosiddetta “destra sovranista” – ultima Giorgia Meloni che dà del “criminale” a Conte – ricorda molto da vicino quello di Willy. Oltre a sparar cazzate da untore sui migranti, sui porti e sul governo, l’unica iniziativa concreta attuata da #Salvirus per contrastare l’epidemia è stato riunire a cena 1500 attivisti. Se alcuni di loro hanno visto il servizio di Alessio Lasta (“Piazza Pulita”) sul reparto di rianimazione di Cremona, immagino che in questo momento si tocchino i coglioni. Sarebbe molto interessante – da un punto di vista giornalistico – intervistarli, ma immagino che siano già stati imbavagliati.
Non basta: il manifesto racconta che proseguendo nella profilassi Matteo Salvini ha deciso di esportare il Format del Contagio Sovranista: “Stasera Matteo Salvini dovrebbe parlare a Londra – scrive il manifesto del 6 marzo – Una congrega di connazionali ha staccato una trentina di sterline per cenare con lui in un imprecisato ristorante a Piccadilly Circus… L’avvento salviniano è inspiegabilmente sfuggito alla profilassi della sanità britannica che precetta l’autoisolamento a chi torna dalle cosiddette ‘zone rosse’ (magari) dell’operoso Nord Italia. Le stesse che finora hanno inspiegabilmente soffiato il primato di epicentro epidemico ai paesi dai quali arrivano i migranti, privandolo di un succulento capro espiatorio. Il suo ‘Difesa della razza Tour 2020’ doveva toccare anche Liverpool, ma i locali anticorpi antifascisti sono insorti e la serata è stata cancellata”.