“Il momento più difficile è stato quando ci siamo resi conto che stava avvenendo sotto i nostri occhi quello che nessuno di noi si aspettava. Ovvero quando siamo stati costretti a gestire con le stesse risorse e lo stesso tempo prima dedicati a un solo paziente, quattro o cinque persone con complicazioni serie”. Come si fa? “Si fa” risponde il primario del Pronto Soccorso dell’ospedale di Piacenza, Andrea Magnacavallo, che insieme al direttore generale dell’Ausl di Piacenza Luca Baldino, racconta a ilfattoquotidiano.it quali sono le difficoltà e le emozioni che si vivono quando si combatte il Coronavirus, guardandolo in faccia. Sentendolo nel respiro affannato di un cardiopatico che sai, purtroppo, che potrebbe non farcela. Di un anziano che se ne va così, come mai avrebbe pensato. Nel dubbio, perché – a parte pochi casi – è difficile dire ad oggi chi davvero in Italia si sarebbe potuto salvare senza il Covid19. Siamo nella provincia più colpita dell’Emilia-Romagna con 426 contagiati (sugli 870 casi della regione) e 24 decessi, 19 piacentini e 5 lodigiani. Qui le ultime cinque vittime, quattro uomini di 77, 82, 83 e 85 anni e una donna di 94 ,sono tutte morte all’ospedale di Piacenza. I numeri non sono quelli della Lombardia, e neppure quelli del Veneto, ma continuano ad aumentare. Anche la sindaca di Piacenza Patrizia Barbieri è stata contagiata dal Coronavirus e si trova in isolamento nella sua abitazione. Ma qui, proprio in ospedale, le emozioni sono tante. E mentre si respira dolore, arriva quello che non ti aspetti, come 30 pizze che nei giorni scorsi una persona ha voluto far recapitare in forma anonima ai medici del pronto soccorso.

PAZIENTI DIVISI IN TRE GRUPPI – “La maggiore difficoltà è quella di gestire un importante numero di polmoniti e insufficienze respiratorie che rappresentano le complicanze del virus” spiega il primario. Sono stati identificati tre grandi gruppi di pazienti. “Il primo – racconta – è più numeroso. Arrivano tutti per polmoniti e insufficienza respiratoria, ma hanno una compromissione lieve del sistema polmonare. Necessitano di un supporto blando, ma devono rimanere in ospedale, sia perché sono legati alla necessità di avere ossigeno, sia perché non possiamo escludere eventuali peggioramenti”. Per questi pazienti, comunque, le possibilità che insorgano gravi problemi è più bassa. Poi c’è un gruppo che si trova all’estremo opposto: quando arrivano in ospedale hanno già una situazione molto critica. “Sono una minoranza – sottolinea il primario – e devono necessariamente essere ricoverati in Terapia intensiva, perché c’è già una grave compromissione polmonare”. Infine, il terzo gruppo: numericamente è maggiore rispetto a quello dei pazienti che finiscono in Rianimazione “ma hanno una maggiore probabilità di un’evoluzione peggiorativa” anche in tempi molto rapidi. Per questa ragione devono rimanere sotto stretta osservazione e con la possibilità di ricevere, in caso di necessità, immediate cure da parte di medici altamente specializzati.

LE DIFFICOLTÀ IN CORSIA – “Siamo in una situazione di pressione” ci dice il primario. Turni faticosi, un lavoro intenso che non consente distrazioni. Ma si riesce a riposare così? “Forse desterò stupore, ma quando riesco a staccare dal lavoro, vado a casa, prendo un bicchiere di vino e le assicuro che dormo tutta la notte, perché ho bisogno di riposare, in primis per i miei pazienti. La situazione è molto impegnativa”. Anche emotivamente. “Questa è una grande esperienza, in primo luogo umana e, poi, anche gestionale e professionale – aggiunge il primario – perché vedi davvero chi tira fuori risorse personali e aspetti del carattere che mai avresti immaginato. Sono fiero e, per certi aspetti, anche sorpreso del gruppo che dirigo”. È difficile non crollare. “Nonostante le difficoltà, cerco di incontrare spesso medici e infermieri, anche per farli sfogare. Ci troviamo a gestire contemporaneamente tutta una fetta di popolazione, composta prevalentemente da anziani – continua Magnacavallo – e alcuni, purtroppo, non rispondono alle terapie. Nonostante i nostri impegni e lo sforzo immane che, secondo me, operatori, medici e infermieri stanno affrontando con encomiabile coraggio. Nessuno si tira indietro”.

50 MEDICI CONTAGIATI, 150 IN QUARANTENA – Eppure, come ci racconta il direttore generale dell’Ausl di Piacenza Luca Baldino sono 50 i medici e gli infermieri che sono risultati positivi al Coronavirus e ce ne sono 150 in isolamento domiciliare. In quarantena. “Dal primo giorno abbiamo cercato di recuperare personale con una serie di formule – spiega il direttore generale dell’Ausl – e tantissimi medici già pensionati da subito si sono presentati in ospedale per dare una mano e offrire la loro preziosa esperienza”. Il fatto è che c’è un problema di carenza legato ad alcune professionalità, in primis anestesisti e infettivologi, che riguarda almeno da un paio di anni tutto il Paese. “Per cercare di ridurre la pressione sugli operatori – racconta Baldino – abbiamo subito bloccato tutte le prestazioni che si potevano rinviare”. Ma da queste parti la situazione continua a evolvere ora dopo ora, per cercare di adeguare la capacità degli ospedali al numero dei contagiati, che continua ad aumentare.

GLI OSPEDALI RICONVERTITI DA UN GIORNO ALL’ALTRO – All’ospedale di Piacenza sono stati raddoppiati i posti letto in Terapia intensiva (da 15 a 31 posti, 22 dedicati al Covid19 e altri 9 sono per le restanti attività ospedaliere). “Nel corso della notte le altre aziende ci hanno supportato, ricevendo alcuni nostri pazienti, perché noi potessimo riconvertire alcune aree” spiega Baldino. In questo momento ci sono cinque reparti dedicati ai pazienti affetti da Coronavirus (compreso quello di Malattie Infettive), mentre altri posti letto sono riservati a questo scopo negli altri due nosocomi dell’area, quelli più piccoli. All’ospedale di Castel San Giovanni sono dedicati al Covid19 tutti i reparti tranne uno, ossia 100 posti letto su 120. E mentre Francia e Germania bloccano l’export di mascherine e ognuno inizia a pensare a sé, pochi giorni fa una persona ha donato proprio a questo piccolo ospedale alcune scorte di mascherine che aveva nella propria azienda. Infine c’è l’ospedale di Fiorenzuola, dove il Pronto Soccorso ha chiuso dalle 20 del 5 marzo e dove già c’erano delle aree dedicate all’assistenza ai contagiati. “Stiamo lavorando alla conversione – aggiunge il dirigente – che speriamo possa essere completata in pochi giorni. Abbiamo scelto di chiudere il Pronto Soccorso, anche perché ormai l’affluenza era crollata e non aveva più senso lasciarlo aperto. Chi ne avesse bisogno può comunque recarsi a Piacenza”.

LA SPERANZA – Ma, in tutto questo scompiglio, si riesce a vedere l’alba? “Siamo obbligati a essere ottimisti, non possiamo immaginare che ci sia un’alba, ma solo il tempo ce lo potrà dire”. Per Baldino “i numeri di Piacenza sono ancora relativamente piccoli, bisogna osservare quelli nazionali per poter capire quando finirà, ma non possiamo permetterci di mollare”. Prima di tornare al suo lavoro in Pronto Soccorso, Andrea Magnacavallo, punta all’obiettivo più concreto da immaginare in questo momento: “Ci deve essere l’alba, ma ad oggi io mi accontenterei di vedere a breve un’inversione del trend”.

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