Musica

Kelis in esclusiva a FQMagazine: “Non mi interessa la hit a tutti i costi. Trump? Non credo che sia da criticare su tutta la linea”

La popstar arriva per la prima volta in Italia con il tour che festeggia i 20 anni di ‘Kaleidoscope’, uno dei dischi più innovativi del pop americano. E ci racconta la sua vita, la sua musica e la sua prospettiva su Europa e USA

di Alberto Scotti

‘I hate you so much right now! Ahhhh!!!!’ Ti odio così tanto in questo momento!! Una giovane cantante afroamericana, i capelli folti ricci e arancioni, la foga rabbiosa e la frase che è uno sfogo contro un partner infedele, si presentava così al mondo. Era la fine del millennio, tardo 1999, a cavallo del 2000, e Kelis Rogers-Jones, per tutti semplicemente Kelis, presentava il suo biglietto da visita attraverso gli schermi di MTV, che trasmetteva in Italia il suo video, soprattutto la sera, la notte, tra le nuove proposte alternative. Un rap che sapeva di r’n’b ma con una produzione elettronica (firmata The Neptunes, ovvero Chad Hugo e Pharrell Williams, ancora lontano dallo status di superstar totale ma già estremamente a fuoco in fatto di suoni matti ma perfettamente pop). Una personalità e un’immagine lontane una galassia intera dagli standard dell’epoca. La sua ‘Caught Out There’ aveva fatto centro. Da lì, il successo in America e poi in Europa, e un volano per tutto il suo disco di debutto, l’ottimo ‘Kaleidoscope’, inizio di una carriera brillante, fatta di hit come ‘Milkshake’, ‘Trick Me’ e ‘Acappella’, e collaborazioni di qualità come quelle con Björk, Benny Benassi, Crookers, Timo Maas, spalmate in vent’anni in cui quella ragazza di Harlem che voleva “solo fare musica” si è trovata al centro della scena mondiale, e allo stesso tempo defilata il giusto, fuori da catalogazioni e cliché e attenta a portare avanti una sua cosa, un’esigenza artistica personale, più che a cercare ogni volta la hit a tutti i costi. E così oggi, 2020, Kelis si accinge a festeggiare i vent’anni del fulminante esordio di ‘Kaleidoscope’ con un tour che europeo che la porterà in concerto in molte città del Vecchio Continente. Tra cui Milano. Nel frattempo, l’abbiamo raggiunta per chiederle conto di vent’anni di musica. E non solo.

Come stai?
Sto bene, grazie! Eccitata per l’inizio del tour europeo e pronta per iniziare.

Ho letto in una tua intervista che vivi in una fattoria nell’entroterra californiano insieme alla tua famiglia. Se non sbaglio, sei nata e cresciuta ad Harlem, New York City, e poi ti sei trasferita a Los Angeles. Come ti trovi in campagna? E perché questa scelta?
È corretto, vivo in una fattoria a circa due ore di macchina da Los Angeles con mio marito e mio figlio. È fantastico, è bellissimo, il clima è ottimo, c’è molto spazio. In realtà io sono cresciuta in campagna anche se sono nata ad Harlem, New York. Non ho un lavoro per cui devo essere in ufficio alle 8, non devo rispettare orari prestabiliti – e sono molto grata alla vita per questo – così mi va benissimo stare in campagna con la mia famiglia e vivere secondo ritmi tutti nostri. C’è tempo e spazio per fare ciò che voglio come voglio, per i miei figli, per coltivare le nostre piante e i nostri campi. È uno stile di vita molto stimolante, ed è molto utile anche quando sono alla ricerca di ispirazione.

Fin dall’inizio della tua carriera hai avuto molto successo in Europa, forse addirittura più che negli Stati Uniti. Cosa rappresenta per te il nostro continente?
Ho suonato e viaggiato spesso in Europa grazie al mio primo disco, ‘Kaelidoscope’. Ero molto giovane ai tempi, non mi ponevo alcun problema, anche perché vedevo mio padre, musicista jazz, viaggiare per suonare e quindi sono cresciuta con questa mentalità. Partire in tour, a vent’anni, in un altro continente che ti accoglie nel migliore dei modi, è entusiasmante. Sei giovane, senza pensieri, senza preoccupazioni particolari, e vedere il mondo al di fuori dal tuo Paese è un’esperienza davvero formativa. E in effetti sì, in Europa ho sempre incontrato un ottimo riscontro del pubblico, che è particolarmente ricettivo rispetto alla mia musica.

E negli Stati Uniti qual è la misura del tuo successo? Mi sembri quel tipo di artista che può permettersi di non fare per forza la hit devastante in ogni album perché è riuscita a costruirsi un pubblico fedele.
Gli Stati Uniti sono grandissimi, immensi, e non importa molto dove mi trovo perché i miei fan sono la mia tribù, letteralmente, sono la mia gente, mi accolgono con calore e umanità, e con diversi tratti in comune tra loro, da Washington alla West Coast. Lo noto. Sono una comunità, potrei dire, e non uso questa parola a caso, perché sono davvero una comunità, e questo mi permette di vivere il mio lavoro senza lo stress di ricercare il successo studiato per funzionare in ogni dettaglio, come dici. Che poi, non sono sicura di volerlo chiamare “lavoro”, ho la fortuna di potermi alzare ogni giorno e fare ciò che amo con un certo riscontro da parte di tante persone. E nel modo che più mi piace, senza inseguire meccanismi stressanti.

È una benedizione, immagino, soprattutto visti i tempi così “funzionali” che viviamo, in cui pare si debba mettere sempre a fuoco ogni dettaglio, ogni obiettivo, ogni risultato. Dev’essere galvanizzante sapere di avere un rapporto di così grande fiducia con i propri fan.
È il modo in cui fai le cose a fare la differenza. Questa è la mia vita, e ogni momento, ogni fase, ogni periodo, è qualcosa che non tornerà, non tornerà mai più. È il mio approccio alla musica, non mi interessa la top 40 a tutti i costi. Mi interessa scrivere, produrre, cantare qualcosa che mi rispecchi, mi rappresenti, e mi soddisfi, che mi permette di esprimermi come credo esattamente in quel momento. Penso che l’arte sia questo, e se sono riuscita a far capire questa parte di me a un pubblico numeroso che mi segue da tempo, sono proprio felice.

Com’è per un artista vivere in USA oggi?
Questa è una bella domanda… Non è semplice. Onestamente è un Paese pieno di contraddizioni su molti livelli, amo il mio Paese ma non sono sempre felice delle sue scelte a livello istituzionale e politico. Poi io non sono una politica e non faccio politica, nemmeno con la mia musica ho mai avuto questa intenzione. Penso che Trump sia una disgrazia ma non penso che sia da criticare su tutta la linea, se vogliamo essere onesti fino in fondo. Non è così tanto peggio di altri venuti prima, nei fatti. Sembra più stupido ma non credo lo sia particolarmente, certo non tiene un basso profilo, ecco, e il percepito è diverso rispetto ad altri personaggi che hanno condotto una politica non troppo dissimile ma senza sparare le bombe sui social, per dire. Ma c’è un popolo che l’ha votato, l’ha scelto, ci sono milioni e milioni di persone in America e non sono tutti aperti mentalmente, spesso parliamo come se fossimo tutti progressisti e pensando che chi non lo è sbagli a prescindere, ma la realtà è che ci sono milioni di americani che la pensano in modo diametralmente opposto al nostro. E hanno diritto di voto e di dire la loro.

Un’osservazione banale ma non scontata. E poi c’è un sentimento piuttosto conservatore in buona parte del mondo occidentale, non si tratta solo degli Stati Uniti, no?
Esatto. Non è un pensiero piacevole ma non va ignorato. Non mi sembra ci siano grandissime differenze tra gli States e tanti altri Paesi, se diamo uno sguardo al Regno Unito non mi pare proprio che la situazione sia rosea. Anzi, sono molto più chiusi e conservatori, ora, di quanto non lo siano gli USA. E in diverse parti d’Europa ci sono pensieri simili. Ma ti ripeto, stiamo facendo un discorso politico, e non è il mio mestiere, non sono un’esperta.

Allora torniamo alla musica: stai per portare in giro per l’Europa il tuo album di debutto, ‘Kaleidoscope’, vent’anni dopo la sua uscita. Cosa pensi di questo disco, cosa provavi quando avete iniziato le prove per il tour e ti sei trovata davanti a queste canzoni scritte così tanto tempo fa?
È stato strano, ma divertente. Penso che sia una parte della mia vita, una parte bella della mia vita, era un disco fatto alla high school, alle superiori, ero una bambina, quando è uscito avevo vent’anni. È un album dei ricordi, oggi, sono diversa io, è diversa la musica, anche ‘Kaleidoscope’ ha un impatto diverso all’ascolto. Molto diverso per me più che per il pubblico, perché se sei un fan, un ascoltatore, e ti ci affezioni, rimarrà sempre quel sentimento cristallizzato nel tempo, invece per me è quasi buffo pensare a cosa facevo e a com’ero allora. Anche nei dettagli privati legati al disco.

Cosa dobbiamo aspettarci dal concerto?
Non lo so… non ne ho idea! Divertimento, voglia di stare insieme e ascoltare buona musica. Che non è poco.

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