Le donne in carcere sono poche rispetto agli uomini. In Italia si aggirano oggi attorno al 4,4% del totale della popolazione detenuta e questo dato è rimasto sostanzialmente costante nel tempo. Un po’ più alta è la percentuale delle donne che si trovava in quelli che erano gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e che oggi si trova nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, come si addice a un’interpretazione di fondo che ha accompagnato la storia delle società: la donna che commette un reato non è criminale come l’uomo ma è invece pazza. Bisognerebbe interrogarsi seriamente sul perché le donne delinquono così tanto meno dell’altra metà dell’umanità, si avrebbero risposte di un’importanza fondamentale.

Dal 1975 – anno dell’entrata in vigore della legge sull’ordinamento penitenziario – a oggi, i piccoli numeri della detenzione femminile hanno comportato un’elevata quota di disattenzione nei confronti dei bisogni e delle caratteristiche specifiche delle donne detenute. La detenzione si è essenzialmente declinata al maschile e gli sforzi, anche economici, del sistema si sono rivolti a impostare un modello carcerario rispondente alle esigenze degli uomini. Le attività nelle carceri e nelle sezioni femminili, senza che si dedicasse loro troppo pensiero, sono da sempre scivolate negli stereotipi più a portata di mano: la cucina, la sartoria, la danza, magari il coro, l’acquerello oppure lo yoga e l’autobiografia intesi quasi quali momenti terapeutici.

Nel carcere romano di Rebibbia femminile, che è il carcere femminile più grande di tutta Europa, abbiamo tentato un rovesciamento di questi stereotipi. Due anni fa abbiamo dato vita a una squadra di calcetto. Uno sport considerato tipicamente maschile, che inizialmente aveva destato sospetti tra detenute e operatrici e che oggi è una delle attività al cuore dell’istituto. La squadra fa parte della società Atletico Diritti, creata nel 2014 dalle associazioni Antigone e Progetto Diritti con il sostegno dell’Università Roma Tre. La polisportiva Atletico Diritti copre il calcio, la pallacanestro e il cricket, con squadre regolarmente iscritte a tornei ufficiali federali. Nelle squadre di Atletico Diritti giocano ragazzi migranti e richiedenti asilo, studenti universitari e ragazzi detenuti o in misura alternativa, anche con permessi del magistrato di sorveglianza per uscire dal carcere due o tre volte alla settimana in occasione di allenamenti e partite.

La squadra nata per ultima è la prima squadra femminile della società, nonché la prima a giocare all’interno di un carcere. Non disputa un torneo federale perché il campetto del carcere non è a norma secondo i parametri della Figc. È iscritta a un torneo organizzato dal Centro Sportivo Italiano, che per ovvi motivi ci ha permesso di giocare in casa tutte le partite. Ogni sabato le mura dell’istituto sono varcate da squadre esterne, ragazze che quasi sempre non sanno nulla del carcere e immaginano di trovare là dentro chissà quale mondo a parte. Alla fine della partita sembrano stordite. Sul campo hanno fatto spontaneamente amicizia con le giocatrici avversarie, si sono date il cinque dopo un fallo, si sono porte la mano per aiutarsi a rialzarsi da una caduta, si sono fatte i complimenti dopo un gol. Al fischio finale si ricordano di dove si trovano. Si sorprendono di quella normalità. Ragazze in tutto uguali a quelle che ogni sabato incontrano sui campi da gioco esterni. Si sorprendono della correttezza estrema delle giocatrici detenute.

Cadono altri stereotipi, cadono pregiudizi. Attraverso quel meraviglioso linguaggio universale che è lo sport – ma tanti altri se ne possono trovare – si crea un legame tra dentro e fuori che è quanto di più importante ci sia ai fini di una pena davvero capace di preludere a un ritorno in società, con vantaggi enormi della sicurezza pubblica in termini di recidiva.

La squadra di calcetto femminile di Atletico Diritti, questa piccola esperienza capace tuttavia di simboleggiare così tanto, ha fatto breccia in molti cuori. Quelli degli operatori dell’istituto, quelli di chi in questi anni è diventato amico della squadra come ad esempio l’Associazione Italiana Calciatori o la nazionale delle parlamentari (che è venuta a disputare un’amichevole in carcere), quelli di alcune autorità sportive, ad esempio il Coni regionale, che ci sono state vicino.

Gepostet von Atletico Diritti am Mittwoch, 12. Juni 2019

Un amico della nostra squadra è l’onorevole Roberto Fico, presidente della Camera dei Deputati. La scorsa estate venne ad assistere a un triangolare organizzato in una giornata di festa. Le ragazze gli mandarono poi una bella lettera in occasione degli auguri di Natale. “Se possiamo migliorare su un campo da gioco”, scrivevano, “allora possiamo migliorare anche nella vita”. Nel prossimo futuro l’onorevole Fico le ha invitate tutte quante a Montecitorio. Le riceverà insieme alla nazionale italiana femminile. Un vero sogno. Stiamo già chiedendo le autorizzazioni al magistrato e siamo in grande fermento. Abbiamo seguito le ragazze della nazionale ai mondiali e le abbiamo amate.

Non vi ho detto: vinciamo quasi tutte le partite e stiamo facendo un grande campionato. Ma la partita più grande l’abbiamo già vinta, qualsiasi cosa succederà.

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