Diritti

8 marzo – È ora di parlare della ‘dolorosa normalità’ della cultura dello stupro

In collaborazione con Francesca Vannucchi

Le parole sono importanti. In particolare quelle del “vocabolario della violenza”, ma spesso esse assumono significati anche molto diversi a seconda di quello a cui si riferiscono. Carezza, approccio, seduzione, nascondono accezioni differenti, sfumature a tratti terribili.

E se ci riferissimo alla parola “stupro”? La parola risale al 1292. Compare per la prima volta nel Libro dei Vizi e delle virtù di Bono Giamboni. Letteralmente significa atto sessuale imposto con la violenza. Qui non ci dovrebbero essere ambiguità di senso, ma con il progredire della storia i significati cambiano e con essi le parole, soprattutto quelle parole dense ed intrise di vissuti dolorosi mutano lentamente in funzione di nuovi eventi. Così, potremmo chiederci, a seguito dell’esplosione del movimento #MeToo, cosa intendiamo quando utilizziamo la parola “stupro”?

Fino a poco tempo fa, tutti credevano di sapere cosa fosse uno stupro. Ora non è più così. Il cambiamento non è certo cominciato adesso: già negli anni Settanta si inizia a parlare di stupro non solo come un’azione, ma anche come un modo di pensare e di relazionarsi con gli altri. Per questo viene coniata l’espressione “cultura dello stupro“, termine che serve a indicare diverse forme di violenza, non solo quella fisica. Da questo modo di pensare nasce la violenza che è stata perpetuata sulla giovane attivista svedese, Greta Thunberg: raffigurata sotto forma di cartoon mentre viene stuprata da un uomo che stringe fra le mani le sue treccine.

La compagnia petrolifera X-Site Energy ha prodotto questa vignetta come forma pubblicitaria e la Royal Canadian Mounted Police non intravede alcun reato: ha stabilito infatti che non può essere considerata pornografia infantile. Raffigurare una ragazza di 17 anni, affetta da sindrome di Asperger, durante un atto sessuale, non consenziente, non solo non è un’azione punibile, ma non merita nemmeno di essere fermata. Questo è un messaggio chiaro del valore simbolico che la parola stupro assume in una visione ingenua: “in fondo se l’è cercata”.

No, la donna non desidera di essere stuprata. In qualsiasi pratica sessuale, anche nella più estrema, il consenso reciproco dei partner è alla base dell’atto. Nello stupro alla base dell’atto c’è la violenza. Inoltre, come ci ricorda Susan Brownmiller nel suo saggio Against Our Will: Men, Women and Rape, gli stupratori non violentano perché hanno voglia di fare sesso. Non violentano perché eccitati dalla vista di una scollatura provocante o di una gonna troppo corta. Gli stupratori violentano perché desiderano esercitare un potere psicologico (e anche fisico) sulla donna. Infatti, se ricostruiamo la “storia dello stupro“, è possibile rintracciare episodi di violenza sessuale dal tempo dei babilonesi fino all’epoca moderna e appare chiaro che lo stupro fosse una vera e propria tattica di guerra, usata per punire e degradare la vittima: si saccheggiavano i territori e si stupravano le donne per ribadire la propria vittoria sul nemico. Una dolorosa normalità.

Nessun tipo di abbigliamento è un invito a fare sesso o implica il consenso. Ciò che una donna indossava al momento della violenza non è rilevante. Lo stupro non è mai colpa della vittima. Comprendere che il sesso senza consenso è stupro è il primo passo per cambiare gli atteggiamenti sociali che danneggiano ulteriormente le vittime di stupro. Le vittime meritano di essere credute, i loro rapporti dovrebbero essere investigati a fondo e dovrebbero ottenere il sostegno di cui hanno diritto.

Le parole sono importanti, soprattutto se sottendono delle azioni e sono specchio della società. Sono proprio le parole e i gesti di donne rivoluzionarie ad aver guidato i movimenti dei lavoratori agli inizi del XX secolo in Nord America e in Europa, movimenti che hanno consentito ad ogni donna di avere dei diritti che ribadissero l’uguaglianza e la dignità di ogni essere umano davanti alla Legge. Le Nazioni Unite, la cui Carta rappresenta il primo statuto internazionale che nel 1945 ha affermato il principio di uguaglianza tra i generi, hanno designato, a partire dal 1975, l’8 marzo come giornata internazionale della donna.

In particolare, quest’anno la Giornata internazionale delle donne ha come tema “Generazione per l’uguaglianza: realizzare i diritti delle donne”. Anche la parola “diritto” può assumere diverse sfumature, nella storia come nelle diverse culture, così come nel cuore e nella mente di ognuno di noi. Sarebbe bello, per questo 8 marzo 2020, partire da un cambiamento di mentalità, dove lo stupro sia condannato e non normalizzato come parte della nostra cultura. Il futuro della dignità e dell’uguaglianza della donna passa da qui.