Roma torna a svegliarsi avvolta di lotta e bellezza. Ancora una volta in omaggio a Lucha y Siesta.

Ricostruiamo brevemente la vicenda, complicata quanto paradossale: innanzitutto, cos’è la Casa delle Donne Lucha y Siesta? Così la definiscono le militanti che da anni animano il progetto: “La Casa delle Donne Lucha y Siesta è un luogo materiale e simbolico di autodeterminazione delle donne contro ogni discriminazione di genere. Un esperimento innovativo e riuscito: un progetto politico che promuove nuove formule di welfare e di rivendicazione dei diritti a partire dal protagonismo femminile”.

Situato nella zona romana di Lucio Sestio (da cui il brillante calembour del nome che allude ai due aspetti del progetto), al suo interno vengono offerti: uno sportello di accoglienza e ascolto; un centro popolare di psicologia clinica; un corso di formazione per operatrici Antiviolenza; progetti di inclusione sociale attiva per donne che fuoriescono da situazioni di violenza; una serie di rassegne, concerti, corsi, attività culturali, spettacoli, incontri con ospiti internazionali; inoltre, con quattordici stanze a disposizione, di fatto si tratta di una importante struttura di ospitalità temporanea per donne e minori in difficoltà.

Un luogo di cultura e solidarietà. Da tempo sotto attacco.

Infatti, tutto ciò avviene all’interno di un dismesso spazio Atac. E nel piano di Concordato per salvare quella che risulta essere la municipalizzata più indebitata d’Italia, la decisione avallata dal Comune è quella di destinare l’immobile all’asta.

Alcuni dati: in 11 anni Lucha y Siesta ha accolto 142 donne con 62 minori e ne ha sostenute 1200. Al di là del valore umano e sociale dell’esperienza, il lavoro volontario e militante delle donne di Lucha y Siesta ha fatto risparmiare all’amministrazione capitolina circa 6.776.586,00 euro.

Non solo: il Consiglio d’Europa nella Convenzione di Instabul indica come misura sociale minima la presenza di un posto letto ogni diecimila abitanti da mettere a disposizione per donne che escono da situazioni di violenza. A Roma ce ne sono appena 25 e più della metà sono forniti da Lucha y Siesta.

Per questo, per l’ennesima volta, numerosi artisti hanno deciso di manifestare il loro sostegno alla causa, nella maniera più potente: tramite la bellezza.

Oltre 600 manifesti di Luchadoras (le combattenti messicane diventate il simbolo della lotta per difendere la Casa delle Donne) hanno invaso i muri delle zone Prenestina, Quadraro, Ostiense, Trastevere, fino al Centro Storico della Capitale. Seicento differenti omaggi di 600 autori differenti: dal primo, disegnata da Hogre a novembre 2019, alla lunga serie di risposte alla call #drawthisinyourstyle dell’artista Rita Petruccioli. Tra gli artisti coinvolti, citiamo alcuni dei più noti: Zerocalcare, Gipi, LRNZ, Sara Pichelli, Zuzu, Maicol&mirco.

Ciò che importa, ovviamente, non è il prestigio del singolo autore, ma il potente impatto collettivo dell’azione artistica, reso ancora più suggestivo dalla grande varietà stilistica dei contributi.

In pochi mesi, è la terza iniziativa artistica in sostegno di Lucha y Siesta: a settembre 2019 in tutto il mondo girarono le immagini del Pantheon, della Bocca della Verità e di altri monumenti romani illuminati dalla scritta #vendesiroma, un’azione geniale e spettacolare rivendicata dal progetto Restiamo Cyborg Posse, che esponeva come firma i loghi degli artisti LRNZ e Hogre; a dicembre artiste e artisti di tutta Italia hanno donato opere originali per l’Asta Matite per Lucha indetta dal comitato popolare Lucha alla città, in una serata al Teatro India.

Eppure, nonostante questa imponente manifestazione di solidarietà artistica, nonostante il riconoscimento dell’importanza della struttura da parte dei servizi sociali comunali e della Regione Lazio, che nell’ultimo bilancio ha stanziato 2,4 milioni di euro per preservarla, il prossimo 7 aprile sarà messa all’asta.

Per questo, Lucha y Siesta dal 25 febbraio scorso è in presidio permanente. Anche perché, a detta delle militanti, non è stata ancora trovata una degna sistemazione sostitutiva per le famiglie ospitate dalla struttura, al contrario di quanto dichiarato dal Comune.

La domanda è semplice: perché, in nome della legalità, ci si accanisce contro realtà dall’oggettivo valore sociale, mentre chi semina odio e razzismo gode indisturbato di un palazzo al centro della Capitale d’Italia, senza nemmeno pagare le bollette?

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