La crisi del Coronavirus manifesta una caratteristica alla quale dovremo “abituarci” (sempre che ce ne venga dato il tempo). Avrete notato che sono saltate, di fatto, le interpretazioni ufficiali. Prima di tutto perché non ce ne sono. Salvo quelle dei tromboni che vanno in tv o sulle pagine dei giornaloni (che non per niente stanno diventando tutti, chi più chi meno, dei giornalini), e si appellano alla Scienza, quella con la “S” maiuscola, come se la scienza avesse già dato risposte univoche a questioni che ancora non ha potuto conoscere, né sperimentare.
Cosa sia questo virus non lo sappiamo. Anche per questo domina la confusione, la cacofonia, la contraddittorietà delle spiegazioni, delle reazioni umane, dei riflessi condizionati delle istituzioni, delle regole, delle leggi. Perché? Perché si cominciano a vedere gli effetti della “transizione” verso la quale stiamo andando. Non ne parlava quasi nessuno. Quei pochi che ne parlavano venivano additati come “catastrofisti”, nel migliore dei casi, oppure come “complottisti”, nel peggiore. Adesso stiamo osservando una situazione che avrebbe potuto essere prevista, se si fossero aperti gli occhi alla realtà.
Cosa diceva la realtà? Che la società che l’Uomo ha costruito nel corso dei secoli è divenuta, d’un tratto, nel corso del XX secolo, “insostenibile”. Ora, all’inizio del XXI secolo, si sta “rompendo”, come succede a tutti gli stati di fatto insostenibili. In altri termini sarebbe saggio cominciare ad affrontare la crisi del coronavirus come un avvertimento di ciò che ci accadrà sempre più frequentemente nel prossimo futuro se noi non cominceremo a cambiare il nostro destino da insostenibile a sostenibile.
L’organizzazione del “Sistema”, che ha funzionato nel corso degli ultimi 70 anni, sta entrando in tilt. La continuità è divenuta impraticabile. Ma istituzioni e individui agiscono per inerzia, secondo le leggi del “vecchio mondo”, mentre cominciano a palesarsi quelle, ancora ignote, di un “altro mondo”. Ricorrendo a una metafora fisica, ciò che ci accade è qualche cosa di simile a un “passaggio di fase”. Come quello dell’acqua quando passa dallo stato liquido a quello gassoso. Se fossimo molecole di acqua capiremmo che la distanza tra l’una e l’altra non solo si modifica, passando dal liquido al gassoso, ma anche che le leggi delle nostre relazioni saranno diverse da quelle dello stato liquido. Capiremmo di essere divenute componenti di una diversa società, quella gassosa. E, per esempio, sentiremmo acutamente i cambi di pressione che, prima, quando eravamo liquidi, non ci importavano granché, anzi quasi non ci accorgevamo neppure del loro variare.
Volete un esempio concreto? Dappertutto si parla quasi soltanto di economia, e dunque, inevitabilmente, di crisi economica, di grandi, immense operazioni finanziarie, sconosciute ai più, perfino a coloro che ci speculano sopra. C’è chi pensa che questo sistema – che produce debito senza sosta, che distribuisce la ricchezza prodotta mandando le più grandi fette a un gruppo sempre più ristretto di individui, e impoverendo relativamente immense masse di persone – sia destinato a una qualche fine. Lo pensano i più saggi. E pensano che questo sistema crollerà per le sue contraddizioni interne, perché le sue leggi sono sbagliate. E sono loro che si sbagliano, perché il sistema funziona anzi benissimo, nello spazio che gli è proprio. Smetterà di funzionare solo quando cambierà lo spazio nel quale si trova.
La maggioranza assoluta pensa invece che questo sistema sia eterno. Pensano che esso ha le sue leggi di funzionamento e a queste leggi s’inchinano. Non ne conoscono altre. Ma anche loro si sbagliano. Le leggi del sistema cesseranno di essere valide quando e se muterà lo spazio circostante.
Né gli uni, né gli altri capiscono che siamo all’interno di un “cambio di stato”. Che equivale a un mutamento radicale di tutte le leggi di tutti i sistemi che stavano all’interno dello stato precedente.
Adesso — e torno al coronavirus da cui sono partito — dovremmo cominciare a capire che economia e finanza esploderanno non tanto per difetti interni, quanto per il sopraggiungere, ad esempio, di una rottura “esterna”. Il che equivale a dire che dovremo compiere una grande capriola intellettuale: capire che la complessità è molto più ampia e variegata di ciò che noi pensiamo e vediamo. È una faccenda che vale per tutti i sistemi parziali. Il coronavirus è il “deus ex machina” che giunge all’improvviso dalla complessità della crisi e si rivela capace di demolire tutti i piccoli sistemi che credono di vivere autarchicamente e eternamente.
Tentare di riparare un sistema parziale a volte si può, ma non è detto che sia sempre possibile. Per esempio un personal computer può spegnersi. Forse è rotto. E allora cercheremo di ripararlo. Ma che potremmo fare se ci accorgessimo che non c’è più la corrente elettrica? Avrebbe senso tentare di ripararlo?