Questa forse è l’ultima volta che per un po’ di tempo potremo parlare di calcio, inteso come calcio giocato. Per questo vale la pena di farlo. Anche se ci sarebbero tante altre cose più importanti da discutere: se sia giusto o meno che il pallone vada avanti in un momento simile per il Paese; se sia normale che il ministro dello Sport il sabato sera si batta per trasmettere in chiaro le partite (autorizzando come membro del governo il loro svolgimento a porte chiuse), e poi la domenica mattina chieda alla Lega di sospendere la Serie A (senza prendersi la responsabilità di farlo). Ma visto che l’occasione potrebbe non ricapitarci più tanto presto, meglio parlare di Juventus-Inter: la sfida scudetto che non ci ha detto chi vincerà il campionato – anche perché potrebbe proprio non vincerlo nessuno – ma chi non lo vincerà.

L’abbiamo attesa per due settimane, rinviata una volta, quasi anche una seconda (visto l’ultimatum del ministro Spadafora e la tragicomica minaccia di sciopero a giocatori in campo del sindacato dei calciatori). Alla fine l’abbiamo avuta, e ci ha deluso: non è stata la partita che sognavamo. La nostra Real Madrid-Barcellona, tanto per intenderci, il big match giocato su ritmi vertiginosi da grandi campioni, guardato ed ammirato dal pianeta intero. E come poteva esserlo in queste condizioni: giocare a porte chiuse è l’unico strumento razionale per portare avanti le competizioni, ma non è ovviamente indolore e di questo non si può fare una colpa alla Juventus (che per di più ha vinto, alla fine pure meritatamente) e all’Inter (che di colpe ne ha già altre). Abbiamo comunque avuto un gol meraviglioso, quello di Dybala, e un risultato decisivo per la corsa scudetto, ammesso che ce ne sia ancora una fra qualche giorno. Tanto basta, per ora.

Il risultato, appunto. Netto, convincente, non deve però ingannare sulla reale partita giocata dalla Juventus. Davvero modesta per un’ora, a tratti insufficiente. Dopo il gol di Ramsey è stato tutto diverso, come se il vantaggio avesse scacciato i cattivi pensieri delle ultime due settimane e sbloccato la squadra. È quello che si augurano Sarri e i tifosi juventini per il ritorno contro il Lione e il finale di stagione, anche se poi nella sontuosa mezzora finale dei bianconeri c’è tanto demerito dell’Inter.

Senza considerare la totale assenza di reazione, paradossalmente i limiti dell’Inter si sono visti tutti, forse ancor di più, nella mezzora giocata meglio dai nerazzurri, a cavallo tra primo e secondo tempo, fino al gol ammazza-partita di Ramsey. Personalità, automatismi perfetti in uscita dalla difesa, manovra avvolgente: a tratti l’Inter dava quasi la sensazione di dominare, ma di fatto non ha praticamente mai tirato in porta. Una conclusione dalla distanza di Brozovic, poi nulla. Ad alti livelli servono campioni e coraggio: l’Inter i primi o li ha fuori forma (Lukaku e Lautaro, peggiori in campo) o li tiene in panchina (Eriksen), il secondo evidentemente non lo ha proprio. Ancora una volta, come già contro la Lazio, Conte ha affrontato il match puntando tutto su concentrazione e disciplina, e proprio per questo ha finito per perdere, perché le grandi partite non si vincono solo col gioco ma anche con le giocate, e con gli episodi. Come ha fatto la Juve.

Perciò le sue parole, oltre alla solita lamentela un po’ stantia sulla differenza di valori e il gap da colmare, stavolta suonano un po’ come una resa: “Siamo stati bravi a rimanere in scia, ma a un certo punto bisogna fare delle considerazioni”. Ovvio, con l’Inter scivolata a meno 9 dalla vetta (e una partita da recuperare chissà quando). Dopo le dichiarazioni del ministro Spadafora e del presidente del Coni Malagò, sono sempre più alte le possibilità di una sospensione della Serie A, con tutto ciò che ne consegue: slittamento in estate? Congelamento della classifica? Semplice annullamento? Chi può dirlo. Davvero non sappiamo se e quando questo campionato finirà. Una cosa è certa, però: di sicuro non lo vincerà l’Inter.

Twitter: @lVendemiale

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