Come appreso domenica, sono chiusi tutti i musei e le mostre in corso anche se – come previsto, l’annuncio dei primi contagiati – aveva già da subito creato un effetto devastante su una delle voci più importanti per la nostra economia: il turismo culturale; già da una settimana Firenze era deserta e così i suoi musei. Il turismo culturale, con il suo esteso indotto, sta subendo un collasso indescrivibile, anche se molte strutture si erano adeguate, dotando i turisti di tutte le misure di sicurezza come l’uso obbligatorio dei Dpi, il numero chiuso e contingentato, specie in occasione di eventi e mostre.
Uno dei meriti del ministro Dario Franceschini, nella riforma del Ministero, riforma viceversa discutibile su Soprintendenze e nomine, era stato quello di aver ri-aggiunto la ”t“ (turismo) al Mibac (ministero Beni culturali). Nel nostro Paese il turismo culturale, anche se non supportato ed enfatizzato, come nella vicina Francia, raggiunge buoni risultati, tant’è che nel rapporto Assoturismo del 2019 le uniche voci positive sono dovute a questo comparto, con i 113 mln di presenze, di cui il 60% dall’estero.
Una voce a sostegno di questo settore sono le mostre. Ho già disquisito molte volte in proposito: alcune a dir il vero sono pretestuose, improbabili ed improvvisate giusto per dare valore aggiunto a musei sconosciuti, o viceversa iperfrequentati e che forse non ne avrebbero bisogno, tanto grandi sono le raccolte e la fama.
Le mostre sono un business enorme, la loro fenomenologia, se analizzata bene, potrebbe dare risultati sorprendenti: la fugace frequentazione dà a molti la convinzione di compiere un atto eroico e fondamentale per il proprio accrescimento culturale. L’accrescimento certo va invece al Pil nazionale, effetto non trascurabile.
Molte mostre rilanciano o lanciano artisti, tendenze, scuole, altre sono un rilancio di città dal punto di vista culturale, come ad esempio la recente pretenziosa mostra su Mantegna a Torino, città con cui l’artista pittore e consulente artistico della Corte dei Gonzaga non ebbe nessun rapporto ma che, allestita assurdamente a Palazzo Madama, iconica dimora sabauda, ricca di arredi e di quadri, ha ottenuto il risultato di nascondere alla vista, con quinte invasive, i suoi preziosi arredi barocchi.
Caso diverso la bella mostra di Raffaello a Roma (anche questa chiusa, nonostante le severe misure di igiene e sicurezza adottate già dal 4 marzo) alle Scuderie del Quirinale, rifunzionalizzate in modo eccellente proprio a scopi espositivi da Gae Aulenti. Preceduta da assurde polemiche per via del prestito da parte degli Uffizi del ritratto di Leone X, fortemente voluto dai curatori ed appoggiato dal direttore Eike Schmidt, con cui mi trovo assolutamente d’accordo per il valore simbolico dell’opera nel contesto delle celebrazioni raffaelliane.
Il “divin pittore” ebbe proprio la sua consacrazione a Roma e qui divenne, grazie all’appoggio dei due Papi Giulio II e per l’appunto Leone X, anche architetto e consulente urbanista nonché ”conservatore delle antichità”. Raffaello fu il primo soprintendente alle antichità di Roma o meglio nominato il 27 agosto 1515, “Praefectus marmorum et lapidum omnium”, tanto da inviare, insieme a Baldassarre Castiglione, un’accorata lettera proprio a Leone X, per la salvaguardia della Roma classica dal saccheggio dei preziosi marmi. Per questo era importante nella Mostra celebrativa la presenza emblematica del Papa dei Medici.
Viceversa appoggiai il diniego di Antonio Natali, predecessore di Schmidt, di prestare la Venere del Botticelli alla fiera del cibo Expo 2015; ci sono infatti modi, luoghi, tempi e motivazioni per progettare, allestire, scegliere i luoghi, concedere o negare opere d’arte di musei.
Altra mostra, giusta per significato e sede è quella – Covid 19 permettendo – di prossima apertura alla Reggia di Venaria Reale, sul Barocco. Nella Regione barocca per eccellenza e nella Dimora Sabauda splendida come architettura, ma priva di arredi, 50 sale vuote per i saccheggi napoleonici e non solo, e quindi rinata come contenitore privilegiato di più mostre in contemporanea, si preannuncia come la Mostra Evento insieme a quella di Raffaello a Roma. Oltre che simili come istanza e significato: la celebrazione del Barocco nel luogo del barocco e la celebrazione di Raffaello nella città che lo ha fatto mito.
Ritornando viceversa all’opportunità o meno di allestire in musei o edifici storici, trovo appropriata la scelta di Arturo Galansino di ospitare a Palazzo Strozzi, ormai splendido contenitore assurto a tempio dell’Arte Contemporanea, “Aria”, una personale di Tomas Saraceno, eclettico e giovane artista argentino, da ieri, e si spera momentaneamente, anche questa chiusa. Opere molto ingombranti ma leggerissime, come per l’appunto l’aria, che ben si inseriscono nei grandi spazi chiusi ed aperti del Palazzo.
Così edifici non più luoghi per vivere, perché vuoti, rivivono viceversa come scrigni di una nuova vita di Storia, Cultura e Bellezza. Cultura e Bellezza che dovranno sopravvivere a questa sciagurata, assurda, violenta epidemia che si spera che per un miracolo del Divin Pittore possa terminare il 10 aprile, il giorno di Quaresima, che lo vide assurgere 500 anni fa tra gli immortali.