Sono giornate molto difficili, caratterizzate da uno stato d’animo sospeso. Perché dovremo adattarci ad uno stile di vita diverso e nel frattempo fare i conti con le nostre fragilità. Fino a qualche settimana fa non avremmo pensato che tendere la mano potesse essere un modo per contrarre un virus, evitare i luoghi pubblici, mantenere un metro di distanza, scuole e università chiuse sostituite dalle lezioni online. Insomma, prepariamoci a cambiare vita e andare avanti per una lunga maratona. Ciò vuole un Paese unito di fronte al coronavirus.

Il pensiero va ai medici e agli infermieri che stanno dando il massimo, con turni massacranti, lontani dalle famiglie e con carichi enormi di lavoro. E soprattutto ai morti che il coronavirus sta facendo ogni giorno. Secondo i numeri della Protezione Civile sono, nella maggior parte dei casi, anziani ma non per questo sono morti minori. Erano persone che facevano parte della nostra nazione, con delle storie e delle famiglie e un giorno, passata l’emergenza, dovremo ricordarle.

Sarà una traversata nel deserto, ma ne usciremo. Più forti e migliori. D’altronde noi italiani riusciamo a dare il meglio nelle situazioni di emergenza. Certo, i tagli degli ultimi anni al welfare state non sono stati positivi. L’arrivo del coronavirus ha portato i nodi al pettine e nonostante la tenuta del Sistema Sanitario, è stato necessario da parte del governo intervenire in emergenza.

Se negli ultimi tempi stavamo scivolando verso un modello secondo cui il ricco e il povero non potevano curarsi allo stesso modo, ora con il virus arrivatoci in casa ci troviamo tutti sulla stessa barca. E dobbiamo remare insieme verso un sola direzione. Scoprirsi fragili e impauriti può spingerci a chiuderci nel metro di sicurezza intorno, ma è proprio in questi casi che abbiamo il dovere di non focalizzarci sull’immediato. O agire di istinto, come accaduto qualche notte fa a Milano: questi comportamenti portano a vanificare gli sforzi che si stanno compiendo.

È il momento di aprire la mente, adattarci al cambiamento in atto ed essere flessibili. Un ruolo fondamentale in tal senso lo giocano l’informazione e la politica. La prima ha il dovere di dire la verità affinché emerga la reazione positiva alla paura da parte di ognuno di noi. Il fatto che alcuni media abbiano pubblicato la bozza dell’ultimo decreto secondo me è irresponsabile: alimenta un cortocircuito che può essere fatale per tutti. Innanzitutto per la tenuta del sistema in parte compromesso per carenze strutturali nel Mezzogiorno. La seconda deve smettere di litigare: è tempo che l’opposizione dia il proprio contributo rispetto al lavoro del governo. Anche se le decisioni possano risultare impopolari, rispetto a difficili bilanciamenti dei diritti.

Stiamo facendo un esperimento sociale senza precedenti. Cioè si sta gestendo un’emergenza che comporta una significativa riduzione delle libertà personali nel contesto di un regime democratico. L’atteggiamento psicologico, che sta stravolgendo le nostre abitudini, è fondamentale quanto le azioni materiali. Serve fiducia nella scienza e nelle istituzioni. E gran convinzione nei gesti quotidiani: lavare le mani deve essere un simbolo di lotta collettiva. Se canalizzata, la paura ci salverà.

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Coronavirus, quello che la paura ci ha ricordato e quello che dobbiamo recuperare

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