“Mi è venuto da piangere. E, stanotte, ho pianto”. È un’oncologa, e ogni giorno ne vede di tutti i colori. Ma domenica notte è stato diverso. La prima notte tra gli infetti da coronavirus. “Ho coperto i reparti di Medicina e Chirurgia che da due settimane, qui all’ospedale di Cremona, sono stati riconvertiti per accogliere i malati, sempre più numerosi, colpiti dal quel maledetto virus”, spiega a ilfattoquotidiano.it Alessandra (nome di fantasia), specialista in patologie gastro-intestinali, da otto mesi in forza al nosocomio cittadino. Che ha accettato di raccontare, chiedendoci di restare anonima, quanto succede dalle 20 alle 8 in una delle strutture di frontiera nella lotta al Covid-19.
Dodici ore e cinque medici che coprono tutti i reparti del Maggiore (tranne il Pronto Soccorso). Una settantina i letti, tutti con pazienti positivi o sospetti coronavirus, da controllare. “Un impatto devastante”. Alessandra non è abituata a questi pazienti. “Il rapporto con il malato oncologico è diverso – spiega – con lui comunichiamo, lo tocchiamo, anche solo per mettergli una mano sulla spalla. Il rapporto, insomma, è anche fisico”. Tra gli infetti non è così. “Non può essere così: il rapporto è sterile, puoi fermarti poco, hai mille protezioni da indossare”. Due i decessi constatati in una notte, due persone “morte sole, perché qui la gente muore sola, senza la possibilità di vedere i propri cari, che avvertiamo telefonicamente e che nemmeno possono venire”.
Poi “ho perso il conto dei ricoveri, uno ogni mezz’ora. Tutti tamponi positivi o sospetti tali”. Qualche giorno fa, una signora ricoverata in oncologia è morta. I parenti, residenti a Codogno, zona rossa, non sono potuti venire in ospedale. “Hanno dovuto mandare i parenti di Cremona che quasi nemmeno conoscevano il deceduto”. In corsia, di notte, non hai tempo di fare la pipì: “Non ti fermi mai, una prostrazione fisica totale”. Era quasi mattina, racconta l’oncologa, quando un infermiere, distrutto dalla terza notte consecutiva, si è addormentato. Le sue colleghe, per non disturbarlo, camminavano in punta di piedi. In più, aggiunge il medico, “hai sempre il timore di contaminare qualcosa, di commettere errori nei momenti di disinfezione”.
Di coronavirus si ammalano anche i giovani? L’età media dei pazienti ricoverati “nei reparti – afferma Alessandra – si attesa attorno ai 60 anni, ma ci sono contagiati, in terapia intensiva, anche di 45/50 anni”. I contagiati aumentano, i malati che necessitano dell’ospedalizzazione pure. “Dopo aver constatato i decessi, non fai in tempo a compilare tutte le carte del caso che dal pronto soccorso ne arrivano altri due a coprire i letti scoperti”. Non solo: “Ci sono pazienti che avrebbero bisogno del casco per l’ossigeno, ma in attesa dei presidi sanitari bisogna accontentarsi della mascherina”.