Anzitutto guardiamoci un po’ all’indietro: abbiamo speso in deficit talmente tanto, e in modo così intelligente da non creare crescita, che non abbiamo quasi margini per le cure choc che servirebbero. Speriamo che questo sia per il futuro un duro ammonimento ai turbokeynesiani (“spendere fa bene sempre e comunque”) e ai sovranisti loro seguaci. Poi ovviamente i limiti alla spesa ci sono dati dallo spread, che si è subito impennato, e non dalla “cattiva Europa”, come loro continuano a volerci far credere. E gli altri “cattivi”, cioè i mercati che han fatto salire lo spread, sono i detentori del nostro debito pubblico, cioè per due terzi siamo noi stessi.

E come dimenticare che gli eccessi di spesa passati sono dovuti ad una cinica ricerca del consenso a breve termine, appena mascherata, appunto, da un velo di turbokeynesianesimo?

Premesse queste ovvietà, vediamone qualche altra. E’ probabilmente un grave errore puntare su nuove opere civili, per una sequenza di motivi dieci volte ripetuti e mai smentiti da nessuno: le opere civili creano poca occupazione per Euro speso, questa occupazione è temporanea, non sono tecnologicamente innovative, hanno tempi non rapidi (indipendentemente dalla burocrazia), sono poco aperte alla concorrenza, e perciò creano legami politici impropri, sono pascolo della malavita organizzata, quelle ferroviarie non hanno ritorni finanziari (problema grave se ci sono pochi soldi pubblici), sono generalmente dannose per l’ambiente (anche quelle ferroviarie, se non in casi del tutto eccezionali come la Milano-Roma AV). Molte sono di almeno dubbia utilità sociale.

Ma il colmo è il progetto governativo in corso, che intende sottrarle ad ogni controllo reale con un “commissariamento” da uomo solo al comando, che non farà nemmeno gare per ridurre i costi, su modello Genova. Tutto diventerà ancora più opaco e discrezionale, e questo proprio nel settore che abbiamo sopra descritto, che per questo tipo di problemi è già uno dei più critici!

Queste cose erano d’altronde già state osservate con toni allarmati da Cantone quando era responsabile dell’Anticorruzione, ma sono fatti noti a tutti quelli che si occupano del settore. L’emergenza coronavirus così diventerebbe un colpo di fortuna per il solidissimo partito del cemento, che vedrebbe avverarsi la balla che “tanto i soldi sono già disponibili” (e le cifre sparate sono svariatissime, a riprova della solidità del concetto: si va dai 60 miliardi dei contratti di servizio delle ferrovie, ai 130 di Renzi, ai 200 della ministra De Micheli, ma di cifre ne son circolate anche altre). Un bel po’ di soldi, nostri, diventeranno disponibili davvero, per loro.

Tutto questo, come se non fossero trovabili alternative al cemento. Forse la prima e la più ovvia ce la suggerisce l’epidemia stessa: la rapida informatizzazione del paese, a incominciare dalle scuole e dalle famiglie più disagiate, cioè soprattutto al Sud. Questo contribuirebbe anche a ridurre l’analfabetismo informatico, noto in inglese come “digital divide”, per sottolineare quanto oggi questo sia origine di diseguaglianze sociali ed economiche. Ma il problema notoriamente esiste anche per le imprese, ed anche qui soprattutto al Sud.

I tempi dovrebbero anche essere più rapidi di quelli di costruire infrastrutture senza gare, cioè affidate “brevi manu” ad amici fidati, o che riescono a convincere il commissario di turno di essere tali.

Immediatamente dopo, l’altra ovvia alternativa è la manutenzione, delle infrastrutture ma anche del territorio: richiede molte risorse e crea molta occupazione, ed in tempi più brevi di quelli richiesti da infrastrutture nuove. Qui snellire le gare avrebbe certo minori conseguenze negative.

Un altro progetto a forte contenuto tecnologico e ambientale è ancora nel settore dei trasporti: l’accelerazione di una rete nazionale di rifornimento per veicoli elettrici. Non si può dimenticare che il problema dell’autonomia dei veicoli elettrici economici (la Tesla certo non li ha) è oggi il maggiore ostacolo alla loro diffusione, e che accelerarne la diffusione determinerebbe economie di scala, in un circolo virtuoso.

Politicamente, per concludere, dovrebbe arrivare dall’attuale tragedia un messaggio complessivo: certo occorre soprattutto disporre di riserve finanziarie, ma anche di progetti nel cassetto ad alto contenuto tecnologico, o comunque strategici, diversi dal cemento, per sottrarci a un modello di sviluppo che senza esitazione oggi possiamo definire arcaico.

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