“Se quattro anni fa qualcuno mi avesse detto che Trump sarebbe diventato il mio presidente, gli avrei riso in faccia”. Annie aspetta di entrare a un evento organizzato dal presidente a Manchester, New Hampshire. Ha 69 anni, viene dal Massachusetts, da una chiesa evangelica affiliata alla King Jesus International. “Non si sente a disagio per il tipo di vita che Trump ha condotto?”, le chiedo. “Per niente – risponde -. Ho i capelli bianchi e in questo Paese ho visto di tutto. Non mi importa da dove Trump venga. È un peccatore ma è pentito. È lui l’uomo che Dio ci ha inviato per liberarci dal Male”.
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Annie è una dei milioni di evangelici che ha votato Trump nel 2016 e che si prepara a farlo, con entusiasmo raddoppiato, nel 2020. Per la precisione, nel 2016 più dell’80 per cento degli evangelici Usa votò per l’attuale presidente. Quest’anno i numeri potrebbero essere ancora più imponenti. Il presidente ha sollevato l’entusiasmo dei religiosi che credono nell’autorità della Bibbia e nella necessità di “rinascere di nuovo”. E questo nonostante il passato non esattamente casto di Trump – che ha avuto tre mogli, ha pagato almeno una pornostar per farci del sesso e proclamato di afferrare le donne per la “pussy”.
Il fatto è che Trump ha fatto per i religiosi americani, e in particolare per gli evangelici, ciò che nessun presidente prima di lui ha mai soltanto immaginato – nemmeno George W. Bush, che con Karl Rove creò il blocco di voto evangelico alla vigilia delle elezioni del 2000. “La mia amministrazione non smetterà mai di combattere per i religiosi americani – ha detto di recente davanti a settemila persone riunite proprio alla King Jesus di Miami –. Rifaremo della fede il fondamento della vita americana”. Per un presidente che non ha un rapporto esattamente facile con la verità, è una promessa impegnativa – ma è una promessa che gli evangelici sanno verrà mantenuta. Sinora Trump gli ha dato tutto: posti nell’amministrazione, leggi, giudici federali, una bandiera di riconquista cristiana da sventolare.
Qualche esempio? Tra gli uomini più vicini a Trump, il vice-presidente Mike Pence descrive se stesso, nell’ordine, come “un evangelico, un conservatore, un repubblicano”. Ha firmato, da governatore dell’Indiana, leggi che consentono di discriminare le persone omosessuali e segue la regola d’oro che il reverendo Billy Graham, il defunto decano degli evangelici americani, pensò per i mariti: mai restare soli in una stanza con donne non sposate. Il segretario di Stato Mike Pompeo, anche lui evangelico, crede invece al concetto di “rapimento”: il ritorno di Gesù Cristo in terra per trasportare al cospetto di Dio i cristiani rinati. Pompeo ha rafforzato i legami diplomatici con altri leader evangelici in giro per il mondo: Jimmy Morales in Guatemala e Jair Bolsonaro in Brasile. Morales è stato il secondo leader mondiale – dopo Donald Trump, appunto – ad annunciare lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme. Per molti cristiani evangelici si tratta del resto di un evento necessario: prima del secondo, apocalittico ritorno di Cristo in terra – premessa della vita eterna in Paradiso – gli ebrei dovranno raccogliersi nella Terra Promessa che va dal Mediterraneo al Giordano. Questo sionismo cristiano, che ovviamente piace al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è uno dei precetti teologici ormai più diffusi tra gli evangelici Usa.
L’intreccio tra diplomazia e teologia, tra interessi geopolitici e millenarismo ultraterreno è però soltanto una faccia della storia. Trump ha dato ai religiosi molto altro: due giudici della Corte Suprema, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, pronti a scardinare, quando se ne presenterà l’occasione, il diritto all’aborto e una serie di protezioni per la comunità Lgbtq. E ancora, oltre 160 giudici federali, scelti da Trump tra i campioni di un’ideologia conservatrice che modellerà la giustizia statunitense per i prossimi decenni. Senza contare che quattro dei sei predicatori scelti da Trump nel giorno della sua inaugurazione erano evangelici. Tra questi Paula White, una tele-evangelista milionaria che crede che essere ricchi sia una benedizione di Dio; e Franklin, il figlio maggiore di Billy Graham, anche lui predicatore, veloce nel fornire a Trump una giustificazione alle frequenti avventure extra-matrimoniali: “Siamo tutti peccatori”, ha spiegato. Evangelici e sionisti cristiani, peraltro, sono stati anche i pastori che hanno avuto l’onore di inaugurare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme. Spiccava nel gruppo John Hagee, anche lui un tele-evangelista e fondatore dei “Christians United for Israel”, secondo cui Hitler e l’Olocausto sono stati parte del disegno di Dio per riportare gli ebrei in Terra d’Israele e preparare il mondo alla seconda venuta di Cristo, che porterà con sé i cristiani rinati (“rapimento”).
In un film apologetico che ha girato lo scorso ottobre in centinaia di cinema americani, “The Trump Prophecy”, c’è un vigile del fuoco che racconta di aver sentito la voce di Dio: “Ho scelto questo uomo, Donald Trump, per questi tempi”, gli avrebbe detto. L’idea che Trump sia una sorta di inviato divino è peraltro piuttosto diffusa nel movimento evangelico. Me la ripete, a un altro evento elettorale del presidente in Iowa Andrew Clarke, arrivato sin qui insieme alla famiglia su una carrozzina elettrica per disabili. “Trump ci è stato mandato, punto – spiega -. Lui ha la forza che nessuno possiede. Fa tutto per noi cristiani. Farebbe tutto per noi. È un cristiano vero. Non è un caso che sia arrivato proprio ora”. “Perché ora?”, gli chiedo. “Perché siamo alla vigilia di qualcosa di grosso. Un punto di rottura, dopo il quale non c’è nulla se non la caduta e l’inizio di qualcosa di più alto, sublime”. “Ma perché Dio avrebbe dovuto scegliere proprio uno come Trump?” chiedo ancora. “Capisco cosa vuoi dire – risponde -. È un peccatore. E allora? Lui è come Ciro”.
L’analogia con Ciro, l’imperatore persiano che secondo la Bibbia liberò gli ebrei dalla cattività babilonese, è stata fatta molte volte in questi mesi. Tra i primi ne ha parlato Lance Wallnau, un uomo d’affari e leader evangelico texano che durante campagna elettorale 2016 predisse la vittoria di Trump. “Dio mi ha parlato”, spiegò Wallnau. L’esempio di Ciro è stato usato anche da un altro leader evangelico, Mike Evans, invitato a parlare nel 2017 al “faith dinner” della Casa Bianca e che disse che “Ciro è stato usato come strumento divino… e Dio ha usato questo vascello imperfetto, questo debole essere umano… in un modo incredibile e sorprendente per realizzare i suoi piani”. Il concetto di Trump come “vascello imperfetto” tiene insieme il passato burrascoso, da peccatore, e il presente da vendicatore della Cristianità umiliata da decenni di politica e cultura progressista. Wallnau, che è anche un uomo d’affari, ha pensato di sfruttare il richiamo all’imperatore persiano. Nelle “monete da preghiera” – immaginate per l’apertura dell’ambasciata a Gerusalemme e vendute a 45 dollari – si vedono i profili di Ciro e Trump, uno accanto all’altro, entrambi strumenti di una più alta Provvidenza.
C’è stato chi, tra gli evangelici, ha cercato di cantare fuori del coro. Mark Galli, direttore di “Christianity Today”, la rivista fondata da Billy Graham nel 1956, ha scritto che Trump meritava l’impeachment sul caso ucraino: “Il presidente degli Stati Uniti ha tentato di usare il suo potere politico per costringere un leader straniero a screditare un suo avversario politico – ha scritto Galli -. Questa non è solo una violazione della Costituzione; ancor più importante, è una cosa profondamente immorale”. Il fuoco di fila di attacchi e ripudi è partito subito. “È una pubblicazione di estrema sinistra” ha tuonato Trump, per screditare il giornale. “Non c’entra più nulla con mio padre”, ha ricordato Franklin Graham, figlio ed erede del fondatore. Del resto, le presidenziali 2020 sono alle porte e non pare sensato dividersi. Trump il peccatore, il “vascello imperfetto” che ha già dato così tanto agli evangelici, è pronto a dare ancora di più. I religiosi voteranno in massa, ancora una volta, per lui. “È l’uomo giusto nella storia della nostra Nazione”, chiosa Graham figlio.