Dopo aver ottenuto di scontare la pena a casa Vittorio Cecchi Gori ha lasciato il Policlinico Gemelli di Roma. Per il produttore cinematografico, dopo la pronuncia della Cassazione, era stato emesso un ordine di carcerazione per un cumulo di pene per bancarotta in relazione alla fallimento della Safin per un totale di 8 anni e mezzo. Il giudice di Sorveglianza, accogliendo una richiesta del difensore Massimo Biffa, aveva disposto per Cecchi Gori, 77 anni, gli arresti domiciliari in relazione allo stato di salute, all’età e anche all’emergenza del coronavirus.
Nel provvedimento il giudice Angela Salvio afferma, infatti, che il produttore cinematografico per “l’avanzata età e per le patologie importanti da cui è affetto, rientra nella categoria di persone più esposte, per le quali le recentissime disposizioni impartite degli organi governativi hanno esplicitamente consigliato la permanenza in ambito domiciliare o comunque l’adozione di comportamenti di distanziamento sociale, sulla base della indicazione scientifica per dette persone, di uno specifico fattore di rischio di complicazioni anche fatali collegato al rischio di contagio derivante dall’epidemia di Coronavirus”.
Per il magistrato l’ex patron viola “allo stato si trova in una condizione fisica tale che per le patologie da cui è affetto necessita di molteplici e costanti interventi terapeutici e riabilitativi non eseguibili efficacemente e tempestivamente in ambito carcerario”. Il 27 febbraio scorso la Cassazione aveva reso definitiva per l’imprenditore toscano – che da decenni vive a Roma – la pena per il fallimento della Safin Cinematografica, come deciso nell’ottobre del 2018 dalla Corte di appello romana per questo crac da 24 milioni di euro. Sempre la Suprema corte nel 2006, per il crac della Fiorentina, aveva reso definitiva la condanna a 3 anni e quattro mesi, coperti dall’indulto, e nel settembre scorso il tribunale civile di Firenze lo aveva condannato a pagare oltre 19 milioni di euro di danni. Soddisfazione è stata espressa dall’avvocato Massimo Biffa, difensore del produttore cinematografico. “Esprimo soddisfazione, oltre che per il risultato ottenuto, anche per la celerità del provvedimento. Quanto capitato al mio assistito è la dimostrazione che la giustizia, se vuole, può essere rapida”.