“Da oggi in tutta Italia saranno chiusi cinema, teatri, concerti, musei. Una scelta necessaria e dolorosa. Ma la cultura può arrivare nelle case. Chiedo alle tv di programmare musica, teatro, cinema, arte e a tutti gli operatori culturali di usare al massimo i loro social e siti”. Il tweet del ministro Dario Franceschini aveva lasciato sperare che la tv pubblica derogasse dal suo imperativo, almeno quello degli ultimo decenni: inseguire lo share, a tutti i costi.

Niente di tutto questo, fatta eccezione per Rai Storia, almeno per ora. Sulle tre reti della Rai, nessuna variazione di rilievo. Tantomeno nella fascia della mattina che, dalla chiusura delle scuole su tutto il territorio nazionale, può potenzialmente contare su un nuovo pubblico. Quello delle ragazze e dei ragazzi, a parte rari casi, ancora orfani delle lezioni delle celebrate lezioni online.

Nell’emergenza da virus, un’occasione unica per la tv di Stato: tornare protagonista, offrendo un servizio realmente di livello. Insomma niente cantanti mascherati, né talent per scoprire nuove stelle e neppure contenitori pomeridiani ricolmi di niente; ma una serie di programmi nei quali i mattatori sono il teatro e la storia, la geografia e l’epica. E ovviamente l’arte nelle sue tante accezioni. Con un legante naturale, i libri. Lasciando il necessario spazio alla Costituzione, la cui conoscenza mai come ora può risultare fondamentale.

La Rai avrebbe le capacità e forse le competenze per offrire nei suoi palinsesti tutto questo. Anzi molto altro. Nel passato è stata capace di assolvere al suo ruolo. Offrendo programmi dichiaratamente educativi. Certo, come il celebre Non è mai troppo tardi, che la Rai ha mandato in onda dal 1960 al 1968, dal lunedì al venerdì, prima sul Programma Nazionale e poi sul Secondo Programma. Una trasmissione organizzata con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione, nella quale l’epico maestro Manzi si sforzava di insegnare a leggere e a scrivere ad adulti che non ne erano ancora in grado.

Invece, non era rivolto agli adulti ma ai ragazzi Telescuola, il programma televisivo sperimentale che la Rai ha realizzato con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione, in onda dal 1958 al 1966. Un programma che aveva un unico scopo. Consentire ai ragazzi residenti in località prive di scuole secondarie di completare il ciclo di istruzione obbligatoria. Un corso per questo motivo detto “sostitutivo”.

Giustamente Aldo Grasso sul Corsera ha ricordato la rilevanza che ebbe questa trasmissione per molti ragazzi, che altrimenti avrebbero abbandonato la scuola. I nomi di alcuni dei professori che si prestarono a tenere lezioni sono diventati indimenticabili. Uno per tutti? Il pittore Enrico Accattino! Le sue partecipazioni ad oltre trecento trasmissioni hanno suggerito ai burocrati del Ministero della Pubblica Istruzione di inserire tra le materie della Scuola Media inferiore, a partire dal 1964-65, l’insegnamento dell’Educazione artistica, in sostituzione del Disegno e Ornato.

Con le scuole chiuse e i Dirigenti scolastici alle prese con le Disposizioni del Miur sulle “lezioni a distanza” non sarebbe male se la tv di Stato rispolverasse la sua funzione dimenticata. Dismettendo, almeno in parte, la necessità di “intrattenere”. Offrendo un servizio che necessariamente non può sostituirsi a quello degli insegnanti. Ma si affianchi ad esso. Innervandolo di contenuti, di ragionamenti, magari di pagine. Insomma quel che la Rai dovrebbe fare è di accompagnare i ragazzi in questi giorni di incertezze, facendogli scoprire che la televisione può essere molto più che un passatempo. Qualcosa di differente da un talent.

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