La mossa non è solo dei big, né solo a Milano, ma coinvolge anche piccole e medie imprese, come i ristoranti di Miscusi e gli showroom di Berto Salotti. Il fondatore della catena di ristoranti: "Scelta semplice quanto dolorosa, abbiamo deciso di minimizzare i rischi e proteggere le persone". In attesa di capire le mosse del governo, si procede con congedi e ferie forzate
Coin, Decathlon, Liu Jo, Coccinelle, Manila Grace, Calzedonia e altre decine di catene anticipano il governo e fanno scattare la serrata dei negozi di servizi “non essenziali”. La mossa non è solo dei big, né solo a Milano, ma coinvolge anche piccole e medie imprese, come i ristoranti di Miscusi e gli showroom di Berto Salotti.
Con un giro d’affari quasi azzerato e in attesa di comprendere quali saranno le mosse economiche dell’esecutivo per fronteggiare la ‘botta’ assestata dall’emergenza coronavirus, le saracinesche si abbassano. Sempre di più, di ora in ora. “Questa è una crisi umanitaria prima che economica, quindi la scelta è stata semplice per quanto dolorosa”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Alberto Cartasegna, fondatore e Ceo di Miscusi.
I dieci ristoranti tra Milano, Bergamo, Pavia, Torino, Verona e Firenze aperti negli ultimi anni – e altri quattro in cantiere nei prossimi mesi – sono rimasti chiusi da martedì. “Ci siamo ritrovati in un vortice ed era sempre più chiaro in quale direzione andasse – spiega – Abbiamo deciso di minimizzare i rischi e proteggere le persone. Paradossalmente da quando abbiamo deciso, siamo più tranquilli”.
“Ci stiamo supportando anche tra competitor per capire come gestire l’emergenza – conclude il Ceo di Miscusi – Stiamo tutti mettendo davanti il valore umano. Dall’estero ci stanno guardando con attenzione. Nelle ultime ore ho ricevuto diverse chiamate da investitori e colleghi da altri Paesi europei e dagli Usa: tutti vogliono capire come ci stiamo attrezzando per comprendere come loro dovranno reagire, probabilmente a breve”.
Tra chi ha chiuso preventivamente c’è anche Berto Salotti, sei showroom tra Meda, Roma, Torino, Brescia, Noventa Padovana e Sorbolo, nel Parmense. “Avevamo la possibilità comunque di gestire nelle regole ma restare aperti avrebbe voluto dire ‘venite da noi’ e motivare i clienti a farlo, mentre le autorità dicono di non uscire. Non volevamo farlo, oggi bisogna stare a casa”, spiega il fondatore Filippo Berto.
“Non è certo stata una scelta presa alla leggera, siamo in fase di sviluppo e di grandi investimenti. E chiudere un negozio significa mettere in pausa un progetto”, dice, ma assicura che il gesto è stato “apprezzato” dai 50 dipendenti. “Il giorno prima fino a tarda serata ho passato tutti in rassegna raccontando perplessità e preoccupazioni, raccogliendo le loro. Ho spiegato che non me la sentivo”.
E tra una telefonata e l’altra è nata l’idea da parte di tutti di devolvere in beneficenza all’Ospedale Ca’ Granda-Maggiore di Milano il 5% degli introiti delle vendite, che vanno avanti online, dove l’azienda è attiva da anni per espandere il mercato estero: “I problemi che dovremo affrontare saranno importanti, ma ci sono tante persone in prima linea che stanno lottando e adesso bisogna supportarli”, conclude Berto.
Le motivazioni che hanno spinto alla chiusura sono le stesse delle grandi catene, come Flying Tiger Copenhagen, azienda danese di oggettistica di design low cost che chiuderà da giovedì tutti i negozi in Italia: “Il messaggio di Flying Tiger Copenhagen è sempre stato quello di condivisione del bel tempo insieme ai nostri cari – spiega il Ceo Martin Jermiin – Questo periodo è senza dubbio il più indicato per stare vicini e pensare al futuro”.
Porte sbarrate anche negli store di Coin: “In questo momento – spiega la società – responsabilità per Coin significa garantire a 3mila collaboratori e a tutti i propri clienti i massimi standard di sicurezza e salubrità nel corso di una delle crisi sanitarie più difficili che il nostro Paese abbia mai dovuto affrontare. L’esigenza di dare continuità alla gestione dell’attività produttiva per evitare ricadute economiche negative passa inevitabilmente in secondo piano”.
Stessa decisione anche per Manila Grace, 13 boutique e 6 outlet distribuiti sul territorio italiano: “In questo momento storico – spiega l’ad Enrico Vanzo – in cui necessitiamo di tanta solidarietà e senso civico, le aziende non sono degli organismi a se stanti ma fanno parte della collettività di un Paese e hanno anche una responsabilità etica e sociale”. Da qui la decisione: “Abbiamo sentito la necessità di limitare ogni tipo di contatto e contagio tra la nostra clientela e i nostri dipendenti, nella speranza di riuscire a superare questo momento e ritornare ad essere proattivi al più presto”.
Twitter: @andtundo