Blu quasi trasparente, di Ryū Murakami (traduzione e postfazione di Bruno Forzan; Atmosphere Libri), pubblicato la prima volta in Giappone nel 1976, fece vincere all’autore, allora ventiquatrenne, il premio Akutagawa, il più ambito e importante premio letterario giapponese. Il romanzo è composto da una serie di fotografie, cupe, crude e violente che, montate una dopo l’altra in un caos apparente, ritraggono un gruppo di giovani giapponesi e dei militari americani in stanza nella base di Yokota alle prese con gli echi della contestazione post-sessantottina, la droga, la musica rock e il sesso.
Ryū Murakami tratteggia con uno stile realistico un determinato periodo storico, periodo in cui le rivolte giovanili minacciano la fragile stabilità di una società, quella giapponese, che deve ancora riprendersi dalle ferite della guerra, e usa un narratore in prima persona, un oscuro protagonista che amalgama un linguaggio sporco e diretto, in un’alternanza di rabbia, disgusto e compassione, una sequela di fotografie iperrealiste. Sesso e violenza in uno stile freddo, a tratti respingente. Feste, assunzione di droghe allucinogene, orge. Tra party all’interno delle house delle basi militari americane, gangbang estreme, un futuro senza speranza, il sottofondo della musica rock, un testo che anticipa di dieci anni molte delle tematiche e dello stile videoclip di Meno di zero di Breat Easton Ellis.
Kei, distesa bocconi sul tappeto, mi sta leccando le dita dei piedi, seguitando a ridere senza interruzione. Reiko continua a piangere, mentre sul suo viso inizia a seccarsi lo sperma di Durham. Sulle dita le sono rimaste le impronte sanguinolente dei denti, di tanto in tanto emette dal fondo dello stomaco un rumore simile al ruggito di un leone. ‘Aaaah, sto per schizzarlo fuori tutto, toglietemi di dosso questa donna!’ ha detto Saburō in giapponese, spingendo da parte Reiko. ‘Fuori dalle palle, brutta troia!’. Reiko è caduta in avanti, quasi aggrappandosi alle gambe di Saburō. Il liquido zampillato verso l’alto è ricaduto sulla sua schiena e sulle sue gambe, e lì si è fermato, senza colare giù. Lei ha un tremito improvviso al basso ventre e si piscia addosso.
Jim entra nel campo di basket, di Jim Carroll (traduzione di Tiziano Lo Porto; Minimum Fax), è un’opera disturbante e irriverente, un diario che si conclude in modo ambiguo e aperto capace di spiattellare una delle tante realtà dell’America del Vietnam e delle sperimentazioni psicotrope in voga in quel periodo. Jim passa dalla scuola cattolica ai campi di basket, facendo tappa nelle strade dove di procura eroina e Lsd, incontra derelitti, spacciatori, tossici, movimentisti pacifisti, sbirri, ed è accompagnato da amici e compagni di squadra, che spesso nel testo non sono altro che comparse. Intorno c’è New York, una metropoli che cambia, dall’autunno del 1963 all’estate del 1966, una metropoli difficile e violenta.
Sensibile, emblematico, lontano dal sensazionalismo, Carroll narra in modo secco, asciutto, ciò che gli succede, senza giustificazioni per le proprie azioni. Un mondo, il suo, dove la vita familiare è totalmente assente. Una quotidianità spontanea e irriguardosa nei confronti della formalità del sistema. Un testo di grande potenza, coraggio e onestà intellettuale.
Sembra che sul vagone ci sia tutto il Garden, tipo Città delle Sardine. Miracolo dei miracoli, l’aggeggio riparte. A quel punto si sentono delle strane risatine, da parte soprattutto di quelli che stanno intorno. Di lì a poco nel vagone iniziano a levarsi le teste e ridono tutti come matti. Mi accorgo che tutti gli occhi sono puntati su Kevin con gente che addirittura lo addita. Alziamo lo sguardo e capiamo perché. È appeso come una scimmia con la cerniera completamente aperta e il cazzo fuori che oscilla come un pendolo. È lì, minchia al vento, che dondola attaccato alla sbarra totalmente ignaro. Nardo Poo rompe il silenzio guardandolo e senza un briciolo di tatto butta lì che non se l’aspettava che gli irlandesi ce l’avessero così grosso.
Cuore di napalm, di Clara Usón (traduzione di Elisa Tramontin; Atmosphere Libri), è il romanzo che fece vincere all’autrice il Premio Biblioteca Breve Seix Barral nel 2009. Il libro è un continuo ping-pong tra due protagonisti e due epoche: Fede nel 1984 ha tredici anni, ha rubato soldi e una borsa di mutandine alla sua matrigna ed è scappato da lei e dal padre, un ex tossico chiamato il Cinese, convinto a emulare Sid Vicious, il suo unico eroe e a ritrovare la madre, la quale, a causa di un incidente del passato, si è dovuta allontanare da lui. Lo scopo è portarla con lui a Londra dove desidera vivere una vita da vero punk.
Marta, a metà degli anni Duemila, è una donna di mezza età, una pittrice pazza che non riesce più a tenere in mano il pennello, che vede dalle retrovie, con ironia e scetticismo, il mondo dell’arte e la possibilità di essere felice. Le due storie si svolgono in parallelo, narrate un capitolo ciascuna, senza apparenti legami l’una con l’altra, fino al finale al cardiopalma, dove le oltre trecento pagine di sensazioni torbide, squallore, tenerezza e violenza si condensano e si mischiano procurando un vero e proprio shock.
Una struttura che richiama Il sogno del Celta, di Mario Vargas Llosa o Storie parallele, di Péter Nádas, un linguaggio semplice, a tratti ruvido e scabroso, politicamente scorretto e autentico, che narra di amore e disperazione e di un’epoca, quella post-franchista, da una prospettiva inedita e interessante.
Ma poi era cambiato tutto: lui era ingrassato, era diventato più grande e gli era sembrato inopportuno e poco virile accarezzare sua madre. Ma non era stato neanche questo, o non solo. Tanta colpa ce l’avevano le pere, l’eroina li aveva allontanati. Sotto i suoi effetti sua madre si ripiegava su se stessa. La sua espressione assente, la sua voce languida denotavano un benessere che non voleva condividere con nessuno. Si grattava in continuazione le braccia, con un mezzo sorriso beato, le pupille contratte grandi come capocchie di spillo. Quando era sballata aveva un alito speciale, sapeva di mandorle amare. Quando tornava da scuola, la prima cosa che faceva Fede era esaminare gli occhi di sua madre; a seconda delle dimensioni della pupilla sapeva come regolarsi.
Lorenzo Mazzoni
Scrittore e insegnante
Cultura - 11 Marzo 2020
Dal Giappone alla Spagna passando per New York: tre storie di gioventù e perdizione
Blu quasi trasparente, di Ryū Murakami (traduzione e postfazione di Bruno Forzan; Atmosphere Libri), pubblicato la prima volta in Giappone nel 1976, fece vincere all’autore, allora ventiquatrenne, il premio Akutagawa, il più ambito e importante premio letterario giapponese. Il romanzo è composto da una serie di fotografie, cupe, crude e violente che, montate una dopo l’altra in un caos apparente, ritraggono un gruppo di giovani giapponesi e dei militari americani in stanza nella base di Yokota alle prese con gli echi della contestazione post-sessantottina, la droga, la musica rock e il sesso.
Ryū Murakami tratteggia con uno stile realistico un determinato periodo storico, periodo in cui le rivolte giovanili minacciano la fragile stabilità di una società, quella giapponese, che deve ancora riprendersi dalle ferite della guerra, e usa un narratore in prima persona, un oscuro protagonista che amalgama un linguaggio sporco e diretto, in un’alternanza di rabbia, disgusto e compassione, una sequela di fotografie iperrealiste. Sesso e violenza in uno stile freddo, a tratti respingente. Feste, assunzione di droghe allucinogene, orge. Tra party all’interno delle house delle basi militari americane, gangbang estreme, un futuro senza speranza, il sottofondo della musica rock, un testo che anticipa di dieci anni molte delle tematiche e dello stile videoclip di Meno di zero di Breat Easton Ellis.
Kei, distesa bocconi sul tappeto, mi sta leccando le dita dei piedi, seguitando a ridere senza interruzione. Reiko continua a piangere, mentre sul suo viso inizia a seccarsi lo sperma di Durham. Sulle dita le sono rimaste le impronte sanguinolente dei denti, di tanto in tanto emette dal fondo dello stomaco un rumore simile al ruggito di un leone. ‘Aaaah, sto per schizzarlo fuori tutto, toglietemi di dosso questa donna!’ ha detto Saburō in giapponese, spingendo da parte Reiko. ‘Fuori dalle palle, brutta troia!’. Reiko è caduta in avanti, quasi aggrappandosi alle gambe di Saburō. Il liquido zampillato verso l’alto è ricaduto sulla sua schiena e sulle sue gambe, e lì si è fermato, senza colare giù. Lei ha un tremito improvviso al basso ventre e si piscia addosso.
Jim entra nel campo di basket, di Jim Carroll (traduzione di Tiziano Lo Porto; Minimum Fax), è un’opera disturbante e irriverente, un diario che si conclude in modo ambiguo e aperto capace di spiattellare una delle tante realtà dell’America del Vietnam e delle sperimentazioni psicotrope in voga in quel periodo. Jim passa dalla scuola cattolica ai campi di basket, facendo tappa nelle strade dove di procura eroina e Lsd, incontra derelitti, spacciatori, tossici, movimentisti pacifisti, sbirri, ed è accompagnato da amici e compagni di squadra, che spesso nel testo non sono altro che comparse. Intorno c’è New York, una metropoli che cambia, dall’autunno del 1963 all’estate del 1966, una metropoli difficile e violenta.
Sensibile, emblematico, lontano dal sensazionalismo, Carroll narra in modo secco, asciutto, ciò che gli succede, senza giustificazioni per le proprie azioni. Un mondo, il suo, dove la vita familiare è totalmente assente. Una quotidianità spontanea e irriguardosa nei confronti della formalità del sistema. Un testo di grande potenza, coraggio e onestà intellettuale.
Sembra che sul vagone ci sia tutto il Garden, tipo Città delle Sardine. Miracolo dei miracoli, l’aggeggio riparte. A quel punto si sentono delle strane risatine, da parte soprattutto di quelli che stanno intorno. Di lì a poco nel vagone iniziano a levarsi le teste e ridono tutti come matti. Mi accorgo che tutti gli occhi sono puntati su Kevin con gente che addirittura lo addita. Alziamo lo sguardo e capiamo perché. È appeso come una scimmia con la cerniera completamente aperta e il cazzo fuori che oscilla come un pendolo. È lì, minchia al vento, che dondola attaccato alla sbarra totalmente ignaro. Nardo Poo rompe il silenzio guardandolo e senza un briciolo di tatto butta lì che non se l’aspettava che gli irlandesi ce l’avessero così grosso.
Cuore di napalm, di Clara Usón (traduzione di Elisa Tramontin; Atmosphere Libri), è il romanzo che fece vincere all’autrice il Premio Biblioteca Breve Seix Barral nel 2009. Il libro è un continuo ping-pong tra due protagonisti e due epoche: Fede nel 1984 ha tredici anni, ha rubato soldi e una borsa di mutandine alla sua matrigna ed è scappato da lei e dal padre, un ex tossico chiamato il Cinese, convinto a emulare Sid Vicious, il suo unico eroe e a ritrovare la madre, la quale, a causa di un incidente del passato, si è dovuta allontanare da lui. Lo scopo è portarla con lui a Londra dove desidera vivere una vita da vero punk.
Marta, a metà degli anni Duemila, è una donna di mezza età, una pittrice pazza che non riesce più a tenere in mano il pennello, che vede dalle retrovie, con ironia e scetticismo, il mondo dell’arte e la possibilità di essere felice. Le due storie si svolgono in parallelo, narrate un capitolo ciascuna, senza apparenti legami l’una con l’altra, fino al finale al cardiopalma, dove le oltre trecento pagine di sensazioni torbide, squallore, tenerezza e violenza si condensano e si mischiano procurando un vero e proprio shock.
Una struttura che richiama Il sogno del Celta, di Mario Vargas Llosa o Storie parallele, di Péter Nádas, un linguaggio semplice, a tratti ruvido e scabroso, politicamente scorretto e autentico, che narra di amore e disperazione e di un’epoca, quella post-franchista, da una prospettiva inedita e interessante.
Ma poi era cambiato tutto: lui era ingrassato, era diventato più grande e gli era sembrato inopportuno e poco virile accarezzare sua madre. Ma non era stato neanche questo, o non solo. Tanta colpa ce l’avevano le pere, l’eroina li aveva allontanati. Sotto i suoi effetti sua madre si ripiegava su se stessa. La sua espressione assente, la sua voce languida denotavano un benessere che non voleva condividere con nessuno. Si grattava in continuazione le braccia, con un mezzo sorriso beato, le pupille contratte grandi come capocchie di spillo. Quando era sballata aveva un alito speciale, sapeva di mandorle amare. Quando tornava da scuola, la prima cosa che faceva Fede era esaminare gli occhi di sua madre; a seconda delle dimensioni della pupilla sapeva come regolarsi.
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Roma, 13 feb. (Adnkronos) - Il Milleproroghe è un provvedimento routinario, in teoria nell'esame tutto doveva andare liscio. Invece l'iter di questo provvedimento è stato un disastro, la maggioranza l'ha gestito in modo circense, dando prova di dilettantismo sconcertante". Lo ha detto la senatrice Alessandra Maiorino, vice presidente del gruppo M5S al Senato, nella dichiarazione di voto sul Milleproroghe.
"Già con l'arrivo degli emendamenti abbiamo visto il panico nel centrodestra. Poi è arrivata la serie di emendamenti dei relatori, o meglio del governo sotto mentite spoglie, a partire da quelli celebri sulla rottamazione delle cartelle. Ovviamente l'unica preoccupazione della maggioranza, a fronte di 100 miliardi di cartelle non pagate, è stata solo quella di aiutare chi non paga. Esattamente come hanno fatto a favore dei no vax, sbeffeggiando chi sotto il Covid ha rispettato le regole. In corso d'opera abbiamo capito che l'idea di mettere tre relatori, uno per ogni partito di maggioranza, serviva a consentire loro di marcarsi a vicenda, di bloccare gli uni gli sgambetti degli altri. Uno scenario surreale! Finale della farsa poi è stato il voto di un emendamento di maggioranza ignoto ai relatori e una ignobile gazzarra notturna scoppiata tra i partiti di maggioranza. Non avevamo mai visto tanto dilettantismo in Parlamento".
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Il decreto Milleproroghe rappresenta una sfida importante, un provvedimento cui abbiamo dato un significato politico, un’anima. L’azione di questo governo punta a mettere in campo riforme e norme strutturali ma esistono anche pilastri meno visibili che hanno comunque l’obiettivo finale della crescita delle imprese e della nostra economia, di sostenere il sistema Italia nel suo complesso. Ecco perché col decreto Milleproroghe abbiamo provveduto ad estendere o a sospendere l’efficacia di alcuni provvedimenti con lo scopo di semplificare e rendere più snella la nostra burocrazia, sempre con l’obiettivo dichiarato della crescita. Fra questi norme sulle Forze dell’ordine e sui Vigili del Fuoco, sostegno ai Comuni e all’edilizia, nel campo sociale e sanitario come in quello dell’industria e della pesca e sul contrasto all’evasione fiscale. Più di 300 emendamenti approvati, tra cui anche quelli dell’opposizione, al fine di perseguire, con questo esecutivo, la finalità di fornire alla nostra Nazione gli strumenti per crescere e per questo il voto di Fratelli d’Italia è convintamente a favore”. Lo dichiara in aula il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Dico al ministro Crosetto che l’aumento delle spese per armamenti, addirittura fino al 3%, ruba il futuro ai nostri figli. Ruba risorse alla sanità, alla scuola, ai trasporti. L’aumento delle spese per le armi non ci renderà più sicuri, ma alimenterà conflitti e guerre, come la storia dimostra”. Così Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde, in merito alle dichiarazioni di Crosetto sull'aumento delle spese militari.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Il problema della situazione carceraria nel Paese è un problema che ogni giorno ci tocca da vicino, stiamo gia' predisponendo le dovute soluzioni. Abbiamo gia' definito il piano carceri e il commissario straordinario". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Criticità nel disegno di legge costituzionale non ve ne sono tali da alterare il testo, ma sarà seguito da una serie di leggi ordinarie. Per esempio, manca nella disegno di legge costituzionale la riserva per le quote cosiddette rosa, ma questo lo metteremo nelle leggi di attuazione che saranno leggi ordinarie. Anche il sistema del sorteggio potrà essere meglio definito. Ma una cosa e' certa: questa legge costituzionale non si modifica". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo, parlando delle dichiarazioni del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che ieri, aveva parlato dei "punti di criticità della riforma del Csm" sui quali si e' appuntata anche l'attenzione della Commissione Ue, aveva sottolineato la necessita' di "un'approfondita riflessione.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Oggi in Turchia, parlando con il mio omologo, il ministro di giustizia turco, quando ho detto che probabilmente i magistrati italiani faranno uno sciopero, lui è rimasto sorpreso e mi ha domandato 'ma è legale?'. Se i magistrati vogliono fare lo sciopero che lo facciano, ma quello che è certo e che, senza alcun dubbio, noi andremo avanti perché e' un nostro impegno verso gli elettori". Lo ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio intervenendo in vdieocollegamento di ritorno dalla Turchia alla Giornata dell'orgoglio dell'appartenenza degli avvocati a Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - La separazione delle carriere dei magistrati "è un dovere verso elettorato perché lo avevamo promesso nel nostro programma e questo faremo. Il nostro e' un vincolo politico verso l'elettorato". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento, di ritorno dalla Turchia, alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo. "Io sto girando un po' dappertutto per redigere protocolli - ha proseguito il ministro -, e ogni qualvolta parliamo di separazione carriere ci guardano con un occhio perplesso perché in tutti gli ordinamenti del mondo questo è normale".