di Francesco Giubileo e Francesco Pastore
L’epidemia di Coronavirus – ma è di ieri la notizia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha elevata al rango di pandemia – in Italia sta producendo effetti devastanti sul mercato del lavoro. Il rischio più evidente e grande è che colpirà duramente nel periodo estivo, danneggiando così la punta di diamante del nostro sistema economico, soprattutto l’occupazione, poiché il turismo è una delle poche attività rimaste ad alta intensità occupazionale, e l’unica a garantire occupazione in specie in alcune aree.
Attraverso il turismo passa una buona parte del mercato del lavoro italiano, a spanne il 15-20% dell’occupazione totale. Non si tratta solo degli addetti alla ristorazione o al settore alloggi, poiché saranno colpiti (direttamente o indirettamente) anche coloro che lavorano nelle attrazioni culturali, nel settore delle pulizie o, più in generale, nell’ampio settore del cosiddetto Made in Italy. Insomma, parliamo di almeno 6-8 milioni di addetti.
La pandemia non terminerà tra qualche settimana, come qualcuno pensava solo qualche giorno fa. Si può pensare che ci vorranno mesi per uscire del tutto da questa specie di incubo in cui siamo tutti immersi. Nel 2003, a causa della Sars (la cosiddetta influenza aviaria), Hong Kong fu bloccata per diversi mesi. Ancor di più, in questo caso, è lecito aspettarsi un periodo di “stasi” di almeno qualche mese. Del resto, i flussi turistici non riprenderanno subito dopo la fine della pandemia, ma solo qualche tempo dopo, quando i turisti stranieri riacquisteranno la certezza di non essere contagiati venendo di nuovo nel Belpaese.
Appena la pandemia sarà terminata, servirà un piano straordinario di politiche attive del lavoro, volto alla rapida ricollocazione di un elevato numero di disoccupati, i quali si troveranno di fronte ad una vera e propria evoluzione digitale dei servizi al lavoro, prodotta dall’obbligo di lavoro a distanza che si sta diffondendo in questi giorni in ogni settore dell’economia a causa del rischio contagio. Non solo scuole e università, ma anche aziende, banche e ogni altra attività economica, soprattutto nel privato e che non può chiudere, si sta svolgendo attraverso il supporto digitale.
Anche il mercato del lavoro sta subendo un processo spinto e improvviso di digitalizzazione. In pochi giorni, la fase di recruiting, in particolare, è stata rivoluzionata e, in poco tempo, sarà talmente avanzata e conveniente rispetto a quella precedente che nessuna azienda o agenzia di selezione tornerà indietro.
Oggi al candidato ad un posto vacante viene inviato un link (oppure un accesso ad un account) per auto-somministrarsi strumenti come “Talent insight” o “Profile xt”, la restituzione degli esiti avviene entro al massimo un’ora e, se va bene, si viene successivamente contattati tramite Skype per il colloquio di lavoro. Addirittura, in alcune professioni che si svolgono nell’ambito della gig economy, datore e lavoratore potranno non incontrarsi mai. Tutto avviene tramite il canale digitale (situazione che nel futuro sarà sempre più frequente).
Ora, se questo è ormai il passaggio consolidato, quanti dipendenti dei Centri per l’impiego (Cpi) conoscono “Talent insight” o “Profile xt”? Quanti sono in grado di orientare bene per colloqui via Skype? Certo alcuni settori, come il turismo a conduzione familiare, recluteranno ancora con i canali “informali” (almeno fino a quando la generazione dei nativi-digitali non diventerà titolare), ma l’elenco delle mansioni (ormai si va dall’addetto alle pulizie al disegnatore industriale) e delle aziende che utilizzano i canali digitali sarà sempre più ampio, fino a raggiungere la totalità del mercato del lavoro.
Non mettiamo in dubbio che all’interno delle strutture di collocamento pubblico vi siano funzionari aggiornati con queste competenze, ma il modello deve diventare universale e sistemico su tutto il territorio nazionale. Pertanto, è fondamentale che nella fase di rafforzamento di questi nuovi Cpi le nuove risorse umane padroneggino tali strumenti.
Nel frattempo, si potrebbe acquistare la competenza delle Agenzie private del lavoro per fornire ai disoccupati queste nozioni. Vediamola come una “Dote/Voucher di sapere digitale” che potrebbe essere assegnata ai disoccupati, soprattutto in alcuni settori più fortemente digitalizzati, per acquisire le nozioni di base necessarie all’utilizzo dei nuovi strumenti di recruiting.