È stata scarcerata Chelsea Manning. Il giudice distrettuale degli Stati Uniti Anthony Trenga ha ordinato il rilascio dell’ex analista dell’intelligence dell’esercito che ha tentato il suicidio. Una decisione arrivata dopo aver scontato circa un anno in carcere per aver rifiutato di testimoniare davanti a un grand jury sul caso WikiLeaks. Ieri il team legale di Manning aveva reso noto che era stata portata in ospedale. Il gesto di Manning è avvenuto alla vigilia dell’udienza davanti a una corte della Virginia al termine della quale il giudice avrebbe dovuto decidere se porre fine o meno a una detenzione che dura dal mese di maggio, quando Manning fu nuovamente arrestata per essersi rifiutata di testimoniare contro Julian Assange.
Sul modo in cui la donna abbia tentato di togliersi la vita c’è il massimo riserbo. “Ha cercato di suicidarsi” hanno dichiarato i suoi legali, sottolineando come Manning ha sempre detto che non tradirà mai i suoi principi: “La sua azione mostra la forza delle sue convinzioni ma anche il male che continua a soffrire a causa del suo isolamento”. “Muoio di fame piuttosto che cambiare idea”, aveva dichiarato la stessa Chelsea Manning al momento della sua reclusione. Quella dell’ex analista dell’intelligence militare Usa è una vicenda che da sempre provoca sdegno in parte dell’opinione pubblica americana e l’ira delle associazioni per la difesa dei diritti civili, che parlano senza giri di parole di violazione dei diritti umani. E sui social media c’è chi accusa la magistratura di accanimento giudiziario nei confronti dell’ex soldato Bradley Manning, definito da molti “un perseguitato”.
Nel 2010 l’allora soldato Bradley trafugò centinaia di migliaia di documenti militari e cable diplomatici riservati, alcuni top secret, mentre svolgeva il suo incarico di analista di intelligence a Baghdad. Una volta impossessatasi del materiale sensibile – tra cui un video in cui elicotteri Usa uccidevano 12 civili disarmati – Manning lo consegnò a WikiLeaks, che lo diffuse mettendo gli Usa in forte imbarazzo, anche verso i Paesi alleati. Arrestata e reclusa prima in Kuwait e poi in isolamento nel carcere militare di Quantico, in Virginia, al termine del processo davanti alla corte marziale, Manning riuscì ad evitare la condanna per il capo di accusa più grave, quello di connivenza con il nemico e di alto tradimento, reato che prevede la pena di morte. Ma subì una condanna a 35 anni di reclusione. Una pena commutata dall’allora presidente Barack Obama nel 2017, quando aveva già scontato sette anni di detenzione, durante i quali decise di diventare donna sottoponendosi ad un trattamento ormonale e cambiando il nome da Bradley a Chelsea. Una vicenda che l’ha fatta diventare un’icona della comunità transgender e delle organizzazioni per la difesa dei diritti civili.