Onlus e associazioni offrono servizi che se bloccati o interrotti rischiano di mettere in difficoltà chi è non autosufficienti o a rischio emarginazione. Ma la questione è anche economica: le raccolte fondi sono spesso collegate a eventi e manifestazioni, tutte rinviate. Primo passo nel decreto del 9 marzo: stop a incompatibilità tra lavoro in un ente e volontariato
Aiutare ad aiutare. Per evitare che siano i più deboli a pagare il conto dell’emergenza sanitaria. Il terzo settore, in Italia, offre servizi che se bloccati o interrotti rischiano di mettere in difficoltà persone non autosufficienti o a rischio emarginazione. Ma la questione è anche economica: un settore così fragile in un momento di crisi rischia il collasso, visto che le raccolte fondi che lo sostengono sono spesso collegate a eventi e manifestazioni, ora tutte rinviate proprio a causa del coronavirus.
“Abbiamo chiesto rassicurazioni sull’estensione a tutto il terzo settore delle misure di sostegno al reddito dei lavoratori, come la Cassa integrazione in deroga, indipendentemente dalla forma giuridica dei soggetti, siano essi imprese o associazioni”, ha detto la portavoce nazionale del Forum del Terzo Settore, Claudia Fiaschi, dopo un vertice con la Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo per fare il punto sugli effetti dell’emergenza Coronavirus sugli enti del terzo settore. “C’è stato anche un impegno a sostenere l’adozione di misure necessarie come la sospensione di tutti i versamenti e gli adempimenti tributari, contributivi e assistenziali. Abbiamo ricordato al Ministro le attività che stanno svolgendo senza sosta da settimane le organizzazioni del terzo settore per aiutare tutti i cittadini, e specialmente quelli più fragili, garantendo una fondamentale collaborazione con il sistema sanitario. Per questo ripetiamo: è necessario intervenire immediatamente per mettere in campo le misure di sostegno economico al Terzo settore, che dispone di scarse risorse finanziarie e perciò è esposto come e più degli altri agli effetti della crisi”.
Il problema riguarda anche l’organizzazione delle attività. Le associazioni, con il susseguirsi delle misure restrittive, non sanno più come regolarsi: i volontari rientrano tra le persone che possono muoversi per “motivi di necessità”? È necessaria una dichiarazione del presidente dell’associazione? Devono in qualche modo limitare il raggio d’azione, oltre a seguire le indicazioni previste dai decreti? L’incertezza regna sovrana, tra operatori ai quali non viene permesso di raggiungere le persone da assistere, fino a chi deve rinunciare perché non ha a disposizione gli strumenti di protezione individuale, come guanti e mascherine, che permettono di svolgere l’attività senza mettere a rischio la salute.
“È inevitabile che ci sia preoccupazione, anche tra i volontari, che non sono e non fanno gli eroi”, dice Emanuele Alecci, presidente del comitato ‘Padova capitale europea del volontariato’. “Noi, con tutte le cautele del caso, e ribadendo l’importanza di rispettare le misure adottate a livello nazionale, vogliamo far capire che il volontariato è necessario, ora più che mai”. Da qui l’appello rivolto al presidente Giuseppe Conte: “In nessuno dei decreti emanati si fa riferimento diretto al mondo del volontariato, che sta riscontrando molti problemi nel capire quali decisioni prendere per ridurre al minimo l’impatto delle scelte sul sistema sociale e sanitario già messo alla prova”, ricorda Alecci. “In Italia sono attive 350mila organizzazioni no profit, per un totale di 5 milioni e mezzo di persone che operano nel volontariato. Solo a Padova le associazioni sono 6400, ma in questo momento l’85% delle loro attività è fermo”.
Ai regolari servizi di assistenza ora si aggiungono quelli più strettamente legati all’emergenza coronavirus: “Per gli anziani soli, anche se autonomi e in salute, c’è il problema della spesa: chi non ha una rete famigliare come fa? Poi c’è il grande tema dei senza fissa dimora: è il volontariato che si occupa di gran parte delle attività che li sostengono. E in un quadro come questo, dove l’isolamento sociale è necessario, affiora il problema della solitudine. Se blocchiamo il terzo settore, le persone più in difficoltà finiranno per ammalarsi, non di coronavirus ma di altro, e sarebbe un disastro”.
Nel decreto pubblicato il 9 marzo un primo passo è stato fatto, permettendo a chi lavora per un ente del terzo settore di svolgere anche attività di volontariato all’interno della stessa associazione, facendo così cadere l’incompatibilità che di norma esiste, proprio per fronteggiare l’emergenza. Ma rimane il problema di fare chiarezza innanzitutto sui movimenti dei volontari: “Dobbiamo dare loro delle certezze. Qualcuno potrebbe dire che non svolgono un servizio di prima necessità, o che potrebbe svolgerlo qualcun altro, ma il problema è che qualcun altro non c’è. Noi chiediamo che si possa autocertificare uno spostamento per un’attività di volontariato e che non ci sia un’autorità che possa eccepire su questo”, chiede Alecci. La disponibilità, in questo momento, non manca: “Stiamo ricevendo centinaia di telefonate di persone che chiedono di poter dare una mano. Queste attività però vanno organizzate e strutturate, soprattutto in una situazione come questa. Se nella confusione ci si è dimenticati di ricordare come si deve muovere il volontariato, è importante tornare indietro e farlo. Nell’emergenza l’insicurezza sociale può diventare insicurezza sanitaria, e le persone fragili rischiano di pagare di più. Non possiamo permetterlo”.