“Sto portando la spesa a casa dell’amico”. I carabinieri della compagnia di Bianco e di Locri non ci hanno creduto. Anche perché quella casa, a Bruzzano Zeffirio in provincia di Reggio Calabria, dove il soggetto stava portando del cibo doveva essere disabitata. I controlli disposti dal governo per contrastare la diffusione del coronavirus si sono rivelati fondamentali per arrestare Cesare Antonio Cordì, figlio di Antonio detto “u ragiuneri”, esponente di spicco della cosca di Locri.
L’amico infatti era un latitante della ‘ndrangheta sfuggito nell’agosto scorso all’operazione “Riscatto”, un’inchiesta coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dai pm Giovanni Calamita e Diego Capece Minutolo che hanno assestato un colpo durissimo alla cosca Cordì.
Gli indagati nell’operazione riscatto, infatti, sono accusati di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento seguito da incendio, illecita concorrenza con minaccia o violenza, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto in luogo pubblico di armi, con l’aggravante di aver agito per favorire gli interessi della ‘ndrangheta.
In particolare, il quarantaduenne Cesare Antonio Cordì (già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso) è accusato di aver fittiziamente intestato alla moglie, Teresa Giorgi, un esercizio commerciale ad Ardore.
Ritornando al blitz dei carabinieri, durante il controllo eseguito nei confronti del fiancheggiatore sorpreso per strada in violazione degli obblighi disposti dal decreto del presidente del Consiglio, i militari dell’Arma si sono accorti di un flebile bagliore di una sigaretta dietro una tapparella della casa dove doveva essere portato il cibo. Tanto è bastato per individuare il latitante, irreperibile da 7 mesi e oggi incastrato dalla stretta dei controlli per l’emergenza Covid-19. Le indagini dei carabinieri adesso continuano per ricostruire la rete di fiancheggiatori di Cesare Antonio Cordì.