Chiudere le chiese è una scelta sbagliata. Anche ai tempi del coronavirus. Significa sbattere le porte in faccia a molti fedeli che, nonostante le tante, troppe infedeltà delle gerarchie ecclesiastiche, ancora credono nel Vangelo. Significa togliere anche la speranza, facendo vincere la paura. Significa scendere dalla croce, rinnegando quel Gesù che non aveva timore di toccare i lebbrosi, considerati scarto della società della sua epoca. Ed è ancora più paradossale che una scelta del genere possa essere seriamente presa in considerazione in un pontificato come quello di Francesco, che da quando è arrivato a Roma, ormai sette anni fa, ha chiesto sempre una Chiesa in uscita, missionaria, ferita, un vero e proprio “ospedale da campo”.

Trincerarsi dietro i portoni degli edifici sacri, come fossero le saracinesche di un qualsiasi negozio, rifiutare la comunione agli ammalati, l’unzione agli infermi e la benedizione ai defunti significa ammettere che la Chiesa ha fallito. Molto eloquente è quello che ha sottolineato il segretario particolare del Papa, monsignor Yoannis Lahzi Gaid: “Pensiamo – ha scritto il sacerdote – a tutte le anime impaurite e lasciate sole perché noi pastori seguiamo le istruzioni civili, il che è giusto e in questo momento certamente necessario per evitare il contagio, ma rischiamo di mettere da parte le istruzioni divine, che è un peccato. Pensiamo come gli uomini e non secondo Dio. Ci mettiamo tra gli impauriti e non tra i medici, gli infermieri, i volontari, gli operai e i padri di famiglia che stanno in prima linea”.

“Penso – ha aggiunto monsignor Gaid – alle persone che vivono nutrendosi dall’Eucarestia, perché credono nella reale presenza di Cristo che si dona nella comunione, penso a queste persone che ora devono accontentarsi seguendo la messa trasmessa in streaming. Penso alle anime che hanno bisogno di conforto spirituale e di confessarsi. Penso alle persone che certamente abbandoneranno la Chiesa, quando questo incubo sarà finito, perché la Chiesa le ha abbandonate quando ne avevano bisogno”.

Il segretario del Papa non ha dubbi: “È bene che le chiese rimangano aperte. I sacerdoti devono essere in prima linea. I fedeli devono trovare coraggio e conforto guardando i loro pastori. Devono sapere che possono correre in qualsiasi momento e rifugiarsi nelle loro chiese e parrocchie e trovarle aperte e accoglienti. La Chiesa deve essere davvero in uscita, anche attraverso ‘un numero verde’ a cui chiunque può chiamare per essere confortato, per chiedere di essere confessato, comunicato; o per chiederlo per i suoi cari. Dobbiamo aumentare le visite alle case, casa per casa, utilizzando tutte le precauzioni necessarie per evitare il contagio, ma mai chiudendoci, rimanendo a guardare. Altrimenti accade che vengono portati a domicilio i pasti, le pizze, e non la comunione per chi volesse comunicarsi perché anziano, malato, bisognoso. Accade che rimangano aperti i supermercati, le edicole e le tabaccherie, ma non le chiese”.

Parole che hanno trovato eco in quelle di Francesco che ha voluto pregare “per i pastori che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi: che il Signore gli dia la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare. Le misure drastiche non sempre sono buone, per questo preghiamo: perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio. Che il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della parola di Dio, dei sacramenti e della preghiera”.

Non è un caso, dunque, se il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, dopo un attento confronto con il vescovo della Capitale, Bergoglio, abbia deciso di lasciare “aperte le chiese parrocchiali e quelle che sono sedi di missioni con cura d’anime ed equiparate”, limitandosi a chiudere tutte le altre. Una decisione in totale sintonia con la stragrande maggioranza dei vescovi della Penisola, nonostante la Conferenza episcopale italiana si sia espressa in modo opposto.

In un alquanto inedito comunicato, infatti, la presidenza della Cei scrive che “a ciascuno, in particolare, viene chiesto di avere la massima attenzione, perché un’eventuale sua imprudenza nell’osservare le misure sanitarie potrebbe danneggiare altre persone. Di questa responsabilità può essere espressione anche la decisione di chiudere le chiese. Questo non perché lo Stato ce lo imponga, ma per un senso di appartenenza alla famiglia umana, esposta a un virus di cui ancora non conosciamo la natura né la propagazione”. Parole che ancora una volta segnano una profonda distanza tra la Cei e il primate d’Italia, ovvero Francesco. E che naturalmente suscitano una sola domanda: sarebbe successo lo stesso sotto le presidenze dei cardinali Camillo Ruini e Angelo Bagnasco?

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