Cronaca

Coronavirus, l’aiuto ai medici di base si chiama ricetta elettronica, ma ce l’hanno solo 7 regioni. L’appello a Conte e ai Governatori

Ogni dottore ha circa 1250 assistiti e tutti i giorni almeno una cinquantina di persone si reca nei loro studi esclusivamente la prescrizione di farmaci. Un'affluenza che si può evitare con la prescrizione digitale, ma serve un'indicazione da Roma

Liberare gli studi dei medici di base dei pazienti meno gravi, grazie all’implementazione delle cosiddette ricette dematerializzate. Arginare il Covid-19 è anche questo. Lo sanno bene alla Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (Fimmg), che rappresenta 43mila medici di famiglia e che giovedì sera ha inviato una richiesta urgente in merito alla Presidenza del Consiglio e alla Conferenza Stato-Regioni (QUI IL TESTO DELLA LETTERA).

La questione non è da poco: in questi giorni in cui la parola d’ordine è isolamento, gli studi dei medici di base possono diventare molto pericolosi. Per i pazienti e per i dottori stessi, che sono il primo filtro per il malato e che non a caso hanno allungato le fila dei contagiati dal nuovo coronavirus. Del resto ci sono delle necessità inderogabili che spingono le persone dal medico e che non sono solo le visite, ma anche il rinnovo di farmaci che si prendono abitualmente o medicine che, soprattutto in casi eccezionali come quello che stiamo vivendo, si potrebbero prescrivere al telefono. Ma come si fa quando serve la prescrizione?

Secondo i conteggi della Fimmg, ogni medico di base si occupa di circa 1250 assistiti e tutti i giorni almeno una cinquantina di persone si reca nei loro studi esclusivamente la prescrizione di farmaci. La ricetta demateriazzata, pensata per alleggerire gli adempimenti burocratici dei medici e già sperimentata da alcune regioni d’Italia, farebbe proprio al caso nostro: il dottore la prescrive elettronicamente e comunica al paziente dei codici che la farmacia è in grado di riconoscere. Così almeno uno dei passaggi viene evitato: i pazienti fanno un viaggio solo, verso la farmacia, e i medici hanno molto meno via vai, limitando le possibilità di contagio e aumentando il tempo a disposizione per i pazienti che proprio devono andare in studio.

Secondo il segretario nazionale Fimmg Silvestro Scotti, si tratta di un provvedimento necessario e dovuto. “Con la ricetta elettronica, si ridurrebbe ampiamente il flusso di persone che si recano negli studi esclusivamente con il fine di avere la ricetta per i medicinali”, spiega Alessandro Dabbene, componente dell’esecutivo della Federazione.

Al momento la ricetta elettronica è in vigore in sette regioni italiane su ventuno: si tratta di Abruzzo, Campania, Emilia, Lombardia, Sardegna, Trentino e Veneto. La Liguria invece è in procinto di sdognarla in scia all’emergenza: in queste ore è stato predisposto un progetto ad hoc che partirà appena possibile. “Solo alcune Regioni hanno adottato provvedimenti sostitutivi in maniera autonoma”, spiega Dabbene. Il motivo? “La normativa in vigore esclude la possibilità della ricetta digitale in tutta Italia: la norma sulla ricetta dematerializzata prevede la presenza di un promemoria cartaceo – continua -. Esiste la possibilità di un canale alternativo su cui avrebbe dovuto esprimersi il Garante della Privacy dal 2016. Ma su cui ancora non sono state date indicazioni relativamente al tema della protezione dei dati dei pazienti”.

Sotto il profilo legislativo, il problema, quindi, è che la trasmissione delle informazioni potrebbe non essere sicura. D’altro canto casi di emergenza come una pandemia dovrebbero permettere deroghe. “Siccome siamo in federalismo sanitario, già prima della crisi, alcune Regioni avevano deciso in autonomia di adottare meccanismi sostitutivi della ricetta cartacea – spiega Dabbene -. Altre Regioni sono rimaste invece in attesa di istruzioni dal legislatore”.

In assenza di una regia nazionale, le poche Regioni che sono passate all’azione hanno scelto soluzioni diverse. Al momento, come spiega la Fimmg, il sistema più avanzato è in Trentino dove la prescrizione del farmaco viene effettuata direttamente attraverso la tessera sanitaria. Tramite il codice fiscale, infatti, si entra direttamente nel fascicolo sanitario dell’assistitito dove viene depositata la ricetta medica per la farmacia. In Lombardia, invece, il medico di famiglia può inviare al paziente un codice della ricetta con il quale l’assistito può recarsi in farmacia per ottenere i medicinali prescritti. In Campania, i medici utilizzano invece normali email con cui trasferiscono la ricetta da stampare agli assistiti. Regione che vai, usanza che trovi.

C’è poi il problema di alcuni farmaci “salvavita” o di quelli a base di oppiacei che in tutta Italia richiedono la ricetta rossa cartacea. “In questo caso il problema è di difficile soluzione – aggiunge Dabbene – ma sarebbe già un grande passo in avanti se si riuscisse almeno a dematerializzare tutte le altre richieste”. Senza escludere che, anche per questi casi, si potrebbero trovare soluzioni alternative, magari prendendo a riferimento le patologie degli assistiti o la fascia d’età.

“Il punto è che oggi il promemoria è una legge e deve essere presentato in farmacia. Stiamo tentando a questo punto di superare la carta, ma non il promemoria. Per renderlo virtuale la Fimmg ha interpretato la normativa europea sul trattamento dei dati personali che in più punti richiama deroghe alle norme sulla privacy in vari casi, tra cui anche quello di epidemia – conclude Dabbene -. Siccome la competenza finale è delle singole regioni, chiediamo alla presidenza del consiglio di stimolare le regioni ad allinearsi tutte nel più breve tempo possibile a quello che hanno già fatto alcune”.

Aggiornato da redazioneweb il 14 marzo 2020 alle 12.50