Ogni giorno in Italia
1800 persone vivono grazie al sangue proveniente dalle donazioni. Tra questi ci sono i pazienti talassemici, quelli cioè che hanno un bisogno periodico di globuli rossi per poter vivere dignitosamente. E ancora quelli oncologici. Tutti dipendono dalla raccolta di sacche che i centri portano avanti su tutto il territorio nazionale. Un impegno che oggi è messo a dura prova dall’epidemia di coronavirus che in Italia ha portato alla
chiusura del Paese, diminuendo quindi drasticamente il numero di donazioni,
almeno del 10% secondo il presidente del Centro nazionale sangue,
Giancarlo Maria Liumbruno. In pratica un’emergenza nell’emergenza che, spiegano dall’Avis, l’associazione volontari italiani del sangue, “per ora è solo una carenza, ma sarà evidente quando riprenderanno le attività chirurgiche e si avranno poche sacche tra vecchie e nuove”. L’appello a continuare a donare arriva a gran voce da tutti, dalle istituzioni ai personaggi dello spettacolo. Lo stesso capo della Protezione Civile,
Angelo Borrelli, in una delle conferenze stampa per aggiornare sui numeri del Covid-19
ha ribadito che l’impegno deve essere costante. Molti anche i cittadini che, da Napoli a Milano, si sono già mobilitati, facendo salire di poco i numeri a ribasso delle scorse settimane. Un primo grido dall’allarme era stato lanciato proprio dall’Avis del capoluogo lombardo che, dati alla mano, la prima settimana di epidemia aveva registrato un calo di oltre il 40%.
Gli esperti: “Siamo in carenza, non in emergenza” – Dalla Lombardia, al Piemonte, regioni dalle cui raccolte di sangue dipendono altre regioni italiane, come la Sardegna, fino al
Lazio che ha registrato un calo del 30%. In tutte le regioni le donazioni di sangue sono diminuite. “Le motivazioni sono due – spiega al
fattoquotidiano.it il professor Liumbruno del Centro nazionale sangue – Da un lato c’è stato il minore afflusso di donatori perché si sono ammalati. Anche se è una circostanza più rara, dall’altra c’è il
timore nell’accedere a una struttura para-ospedaliera“. Il calo, anche se ancora non sono arrivati da tutte le regioni i dati ufficiali, è, per la scorsa settimana, “in media del 10%”. Un numero non da poco se si pensa che ogni giorno, dice ancora il direttore del Cns, “servono
8000 sacche di sangue per i 1800 trattati quotidianamente”. “In questo momento non siamo in una vera e propria emergenza,
siamo in carenza. La realtà è che il problema coronavirus è di circa 10 giorni fa, le sacche resistono per 45 giorni, e quindi per i prossimi giorni dovremmo riuscire a rispondere alle esigenze, tenendo conto che quasi l’attività ospedaliera elettiva (cioè gli interventi programmabili e non urgenti
ndr.) è bloccata”, dice al
Fattoquotidiano.it il presidente nazionale dell’Avis,
Gianpietro Briola, sottolineando che “il problema si manifesterà, se continua questa carenza, alla
ripresa delle attività. Non avremo sacche tra vecchie e nuove”. Il rischio maggiore, paradossalmente, potrebbe verificarsi nelle
regioni del Sud, anche se con un numero minori di contagi. “Piemonte e Lombardia, per fare un esempio, riforniscono di sangue anche la Sardegna – evidenzia Briola – ma se non hai scorte dalle altre regioni, la gestione dei talassemici diventa difficile”. Problema maggiore se si va a guardare la sola componente delle piastrine: una sacca, infatti, dura solo cinque giorni ed è difficile accumulare scorte. “Anche in questo caso – spiega ancora Briola – se riusciamo a mantenere un buon livello dovremmo far fronte all’emergenza. Compensiamo con i donatori storici che più facilmente donano questa componente”. Il messaggio degli esperti comunque è lo stesso: “Il mondo non si è fermato,
dobbiamo essere pronti alla ripresa“. Per questo è importante mantenere costanti le donazioni. Anche perché, ricorda Liumbruno, “sarebbe troppo sommare a un’emergenza epidemiologica, un’emergenza sangue”.