Francia, Germania, Austria. Le misure per contrastare il coronavirus si allargano sempre più a tutta Europa dove, gradualmente, anche i cittadini prendono consapevolezza che il contagio va ben oltre Cina e Italia. Dopo le testimonianze raccolte da Regno Unito, Spagna, Belgio, Polonia e Svezia diamo voce anche oggi a quello che stanno vivendo gli italiani all’estero.

Germania – “Lavoro tra Germania e Italia – racconta Cristina, imprenditrice che vive a Berlino -. Sono stata a Bergamo dal 17 al 22 febbraio e dall’1 al 5 marzo. Sono tornata a casa sabato e lunedì avevo la febbre. Mi sono messa in autoquarantena. Mio figlio e mio marito sono andati in un’altra casa. Al lunedì ho cercato di capire come fare il tampone, visto che il medico di mio marito diceva che era un’influenza normale e che se la prendeva anche la mia famiglia non c’era problema. Allora ho chiamato Clorinda De Maio, presidente degli infermieri italiani a Berlino, che mi ha consigliato di andare all’Ospedale della Charité. Lì c’era una casetta separata dal resto della struttura dove un operatore con mascherina e occhiali mi ha detto di andare a casa e di tornare dopo quattro ore. Così ho fatto e ho aspettato altre quattro ore, fino alle 8 di sera, prima che me lo facessero. Il giorno dopo alle 22 mi hanno detto era positivo. Anche se fosse risultato negativo, avrei dovuto comunque stare in quarantena perché venivo da una zona ad alto tasso di contagio. Comunque sono andata io in ospedale, fisicamente, per fare il tampone. Il 19 verranno loro a casa per il secondo test.

Ho solo un po’ di tosse e raffreddore, ho avuto la febbre fino a 38. Piccoli sintomi che si possono confondere con l’influenza. Mio marito e mio figlio non possono fare il test perché asintomatici. Qui – continua Cristina – succede quello che abbiamo visto in Italia: finché non ci sono numeri allarmanti non ci si preoccupa. Magari non scapperanno come è successo da noi perché c’è più senso civico. Da quello che vedo, però, sanno che i numeri sono destinati a salire, ma non hanno né problemi sanitari, vista la grande disponibilità di posti in terapia intensiva, né economici, visto che hanno già stanziato miliardi di euro per fare fronte all’emergenza.

Francia – “Oggi non sono uscita – spiega Marina, ingegnere che lavora a Nantes -. Posso solo dire che su Facebook ci sono molte persone che scrivono che la loro vita deve continuare normalmente. Ci sono associazioni che si offrono per consegne a domicilio. Sono volontaria della Croce rossa e ieri sera mi è arrivato un messaggio ‘viappel’, che viene mandato in caso di emergenza, in cui ci hanno chiesto la disponibilità per le prossime due settimane, ma senza specificare in quale attività saremo impiegati. Mi sembra che la gente sia tranquilla nonostante Macron giovedì abbia comunicato che da lunedì asili e scuole si fermano e ha invitato a non spostarsi e lavorare da casa. Ma erano solo inviti, non imposizioni. Venerdì ho cercato il gel disinfettante, ma era finito. I miei parenti dall’Italia mi avevano detto di comprare guanti usa e getta e l’ho fatto. Fino a due giorni fa ho visto tanta gente al supermercato senza protezioni, soltanto i commessi avevano guanti in lattice. Ho visto gente in gruppi, in strada, nessuno aveva la mascherina, erano tutti molto tranquilli. Qui non c’era la percezione del pericolo, anzi, fino a ieri c’era molto scetticismo. La gente continuava a uscire e organizzare serate. Trovo contraddittorio che avesse già invitato a stare a casa ma che oggi ci siano le elezioni e dica ‘lì ci potete andare’. Non so se questa cosa faccia percepire come meno seria la situazione. I colleghi mi dicevano, fino a venerdì, che ero ansiosa e paranoica. Alcuni continuavano a comprarsi i biglietti per viaggiare in Francia, andare a Parigi, fare il weekend da qualche parte. L’unica cosa che ho notato in azienda è che è stata assunta una signora delle pulizie per disinfettare ogni 15 minuti le maniglie dell’ufficio”.

“La premessa – dice Sara, che lavora per una casa editrice a Parigi – è che se non ci fossero state le elezioni questo weekend, la gestione della crisi sanitaria sarebbe stata ben diversa. Finora credo che l’emergenza sia stata gestita abbastanza bene, evitando allarmismo e panico. Non ho visto discriminazioni. Anche quando ho portato le mie figlie a scuola, nessuno mi ha chiesto se fossi stata in Italia durante le vacanze scolastiche, che erano tre settimane fa. Anche al lavoro niente battute: mi sembra che si sia parlato più dei concerti spontanei dai balconi che del video della pizza, che peraltro mi è stato segnalato dall’Italia. Da ora bar e ristoranti sono chiusi. Giovedì sera Macron ha annunciato le nuove misure e già dal giorno dopo avevo tutte le istruzioni per il telelavoro. Immagino che verremo isolati sempre di più”.

Irlanda – “Nel Regno Unito non fanno nulla, ma qui la situazione è diversa – spiega Valentina, che a Dublino lavora per una multinazionale -. All’inizio si pensava fosse una normale influenza, un problema cinese e italiano, ma già questa settimana molte aziende sono entrate in modalità smartworking e le scuole sono chiuse da un paio di giorni. Ma ci sono tantissimi lavoratori (subocntractors) costretti ad andare fisicamente in ufficio e a prendere i mezzi pubblici. Qui ci sono sono migliaia di italiani, visto che Dublino è la Silicon Valley d’Europa, con tutte le multinazionali dell’IT come Facebook e Google. Noi connazionali siamo consapevoli perché siamo in contatto coi nostri parenti, ma in tanti non hanno idea. La gente continua a uscire: a Temple Bar, che è il cuore della movida, c’è la solita calca anche se alcuni pub, in autonomia, hanno deciso di chiudere. L’invito è quello di mantenere la distanza tra le persone, ma è lasciato alla discrezione individuale se rispettarlo o meno. Anche qui c’è stato l’assalto ai supermercati: non si trova il gel per le mani e le mascherine sono finite. E se la situazione dovesse aggravarsi sarebbe un disastro perché la sanità pubblica è decisamente mediocre”.

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